“Il dono più bello”

di Cristina Biolcati

C’era una volta una famiglia che viveva in una modesta casetta, al limitare del bosco, e che godeva dei prodotti della terra. Il padre era un uomo alto e robusto, faceva il falegname e andava a vendere i suoi manufatti giù al paese. La madre era una donna esile e sempre un po’ pallida, allevava galline e ricavava quel poco che bastava per vivere dalla vendita delle uova. Sally era la loro bambina, una piccoletta di dieci anni, con le guance paffute e sempre arrossate. La particolarità che la rendeva nota in paese, erano i suoi capelli lunghissimi, del colore del grano. Sally non aveva mai voluto tagliarli, andava molto fiera della sua chioma e la curava in maniera particolare. Non che desse ogni sera i classici “cento colpi di spazzola” consigliati dalle nonne, questo no, però la mamma glieli spazzolava spesso e con cura.

Natale era vicino, la neve iniziava a cadere e i genitori erano preoccupati. Il padre era stato a lungo malato, aveva lavorato meno rispetto agli anni precedenti; mentre le galline, pareva si fossero messe d’accordo, avevano fatto poche uova. Mancavano dunque i soldi per fare i regali.

I genitori avevano sempre escogitato di tutto, affinché Sally potesse essere come gli altri bambini e non si dovesse vergognare della loro condizione d’indigenza. Meritava tutto, quella figlia! Da quando era venuta al mondo non si era mai lamentata.

La mamma, però, lo sapeva che anche lei avrebbe desiderato le cose che avevano le sue amiche: bambole, giocattoli, oggetti che tutti i bambini dovrebbero avere. Era una brava sarta e le cuciva sempre dei bei vestiti, con le stoffe in saldo, che trovava al mercato. E con i pezzi avanzati, aveva fatto a Sally una bellissima bambola, che la bambina aveva chiamato Beatrice. Come la musa di Dante, che aveva studiato a scuola.

Dal canto suo, anche la piccola avrebbe voluto fare dei regali ai suoi genitori. Si era accorta che la mamma, nonostante i vari rammendi, aveva i guanti tutti bucati; e che il padre possedeva un berretto troppo leggero. Inoltre, quando i nonni venivano a prendere il tè da loro, il servizio di tazze era tutto sbeccato. “Eh sì” pensava tra sé “la mia famiglia avrebbe proprio bisogno di queste cose”.

Il giorno seguente Sally andò con il padre nel bosco, a scegliere l’albero. La bambina seguiva il genitore che, sicuro di sé, le faceva strada con l’accetta in mano. Sally si divertiva a mettere i suoi piccoli piedi nelle impronte che papà lasciava nella neve. A un tratto, trovarono un abete alto, ma non troppo, e robusto abbastanza per essere trasportato.

«Direi che questo è perfetto» esclamò l’uomo con il suo vocione squillante.

«Sì, papà!» echeggiò Sally, entusiasta.

Con qualche possente colpo d’ascia, sapientemente assestato, l’albero cadde. Il padre lo trasportò fino alla loro casetta, mentre Sally gli trotterellava dietro, fingendo di aiutarlo a sollevare la cima. Una volta dentro, lo posizionarono vicino al camino. La mamma aveva già preparato gli addobbi, molti dei quali da lei stessa confezionati, con le stoffe in avanzo. Sally amava quel momento. Scartare le palline, ordinatamente riposte e avvolte nella carta di giornale dell’anno precedente. Ritrovare, a una a una, le sue preferite. In particolare, un Babbo Natale sorridente, a bordo della sua slitta, con le renne poste tutte in fila, pronte per partire. E un’altra, non troppo grande, a forma di pettirosso, con un po’ di neve sul capo e sul rametto, che faceva da piedistallo. Quel pettirosso, lo aveva da quando la nonna glielo aveva regalato per il Natale dei suoi quattro anni. Lo aveva chiamato Cip, come l’uccellino di Heidi, nel cartone animato.

La famigliola dispose gli addobbi sull’albero e, per ultimo, dei fili lucenti e una stella. 

Ecco, quell’abete che brillava accanto al camino acceso, non aveva nulla da invidiare a quelli che si trovavano nelle abitazioni dei ricchi, anzi, era molto più bello. A Natale quella casetta, ai limiti del bosco, diventava calda e accogliente, perché l’amore che vi regnava colmava ogni mancanza.

Giunsero le vacanze di Natale. La neve caduta ora era alta, si faceva fatica a camminare. Il padre si era costruito delle ciaspole, per poter raggiungere il paese. Sally rimaneva a casa con la mamma, a fare torte e biscotti da regalare ai loro conoscenti. E come fosse un rito, la mano rassicurante della mamma, prima di addormentarsi,  pettinava sempre i suoi capelli, dolcemente, per non farle male. Con lei, l’inseparabile Beatrice, alla quale la bambina raccontava tutti i suoi segreti.

«Ora so cosa devo fare!» confidò una sera Sally a Beatrice, mentre riponeva sul comodino il libro di Piccole donne che le aveva regalato la mamma. La candela si spense, mentre la notte inghiottiva la stanza e il volto dipinto della bambola, coi bottoni al posto degli occhi, rimase a fissare il soffitto, in segno di approvazione.

La vigilia di Natale il padre lavorò a una nuova panchina, per accogliere i nonni; mentre la madre fece altri biscotti da portare alle amiche. Sally prese la slitta e domandò se poteva recarsi a trovare la sua amica Patty, per scambiarsi gli auguri.

«Non ci sarà troppa neve?», aveva obiettato papà.

«Non più di quanta ce ne sia quando va a scuola” aveva risposto la mamma, contenta che la sua bambina coltivasse amicizie. Le preparò anche un piccolo incarto con dei biscotti al cioccolato.

«Piaceranno a Patty!» le disse fiduciosa.

Dopo aver ringraziato la madre, Sally partì con la slitta, complice il padre che gliela aveva preparata in cima al pendio, in direzione del paese. In pochi minuti, l’uomo non vide altro che un puntino che sfrecciava giù per la montagna.

La giornata trascorse nei ferventi preparativi del Natale. La mamma aveva ideato un menù speciale per accogliere i nonni, anche se purtroppo aveva dovuto sacrificare la sua gallina più vecchia.

Prima che facesse buio, Sally tornò. Naturalmente, il percorso a ritroso aveva dovuto farlo a piedi, trainando la slitta in salita. La bambina sembrava intirizzita, ma contenta. Durante la cena si mise un caldo pigiama e una cuffietta da notte, tanto era il freddo che si era buscata.

La mamma la lasciò fare, anche quando Sally si addormentò e andò dritta a letto, senza farsi nemmeno spazzolare i capelli.

«È tanto stanca» sussurrò al padre, che la stava portando in braccio, su per la scala.

Il mattino seguente era Natale. La mamma si alzò di buon’ora, mentre il padre era già fuori a spaccare la legna per il camino. Aveva nevicato di nuovo, e la neve aveva coperto le tracce che la famigliola aveva lasciato il giorno precedente. La casa sembrava immersa in una nuvola soffice e ovattata, dove anche i rumori venivano attutiti. Presto sarebbero arrivati i nonni, approfittando del passaggio che dava loro il vecchio Sem, il quale gestiva un emporio al paese e possedeva un gatto delle nevi.

Mentre stava per mettere a bollire il bricco del latte, la madre decise di dare un’occhiata all’albero. Non si sa mai che, durante la notte, avesse perso degli aghi. Invece l’albero risplendeva tronfio, proprio al centro del salotto. La madre guardò meglio e vide che sotto a quell’abete giacevano tre pacchettini colorati. Tre regali.

Subito si portò una mano alla fronte, e non riuscì a trattenere un grido. Arrivò il padre, tutto trafelato, con i capelli pieni di neve e le mani rosse per il freddo.

«Che succede?» le chiese.

«I regali» rispose la madre, indicando i pacchetti, «sei sempre così caro!».

La faccia dell’uomo si fece incredula, come se li vedesse per la prima volta.

«Non sei stato tu?» chiese lei, che iniziava a comprendere tante cose.

Il frastuono, nel frattempo, aveva svegliato Sally. La bambina se ne stava seduta in cima alla scala, con il pigiama e la sua cuffietta da notte e li guardava divertita. Entrambi i genitori alzarono lo sguardo e chiesero, all’unisono: «Tu ne sai qualcosa, Sally?».

Gli occhi della bambina si illuminarono.

«Be’» rispose, «dato che sono lì, tanto vale aprirli!».

Una stretta al cuore colpì i due genitori. Nei pacchetti trovarono un paio di guanti per la mamma, di lana morbida, e un berretto caldo per il padre. In quello più grande, un servizio da tè per sei persone, di ottima porcellana, decorato con fiori delicati.

«Buon Natale!» esclamò la bambina, che corse ad abbracciarli. In quell’abbraccio, la madre si sciolse in lacrime, soprattutto perché aveva capito.

«Hai venduto i tuoi capelli per noi?» le chiese mentre, con tutta la dolcezza del mondo, le toglieva la cuffia da notte e ne aveva la conferma.

«Sally, perché hai fatto questo? Noi non abbiamo niente per te…» e mentre lo diceva, il padre dovette sedersi, come se avesse assistito a qualcosa di troppo grande da sopportare.

«Oh non è vero!» rispose la bambina con la sua solita allegria. «Voi mi avete dato tutto questo». 

E si guardò intorno. I suoi occhi si soffermarono sul fuoco del camino, e indugiarono in direzione dell’albero.

«Mi avete dato il Natale!», dichiarò con decisione. E un istante dopo corse in un angolo del salotto a giocare con Beatrice, in attesa dell’arrivo dei nonni.

Forse il vero miracolo della vita è dato proprio da quella spensieratezza che, solo i bambini possono avere, anche se messi di fronte al sacrificio più costoso. La semplicità che sta nelle loro rinunce.

Il padre uscì a tagliare la legna col suo berretto caldo in testa; la mamma infornò i biscotti, preparando con cura il servizio nuovo da tè per servire i nonni. In breve, un profumo di cose buone invase la casa, e tutti furono pronti per quel giorno di festa. Fuori, fra i rami di un albero, un piccolo pettirosso dal capo innevato sbirciava di nascosto la scena.

Cari amici lettori, una favola, specialmente se di Natale, dovrebbe sempre avere una morale. Forse nella storia di Sally, e della sua famiglia, ne possiamo cogliere più di una. Ma quello che è importante, e che dovreste sempre ricordare, è che quando le persone che si amano si riuniscono, non importa dove o in quale tempo, lì è sempre Natale.

***

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Il dono più bello – Cristina Biolcati – (#RaccontiDiNATALE)
“Il dono più bello”

5 pensieri su ““Il dono più bello”

  • Gennaio 5, 2021 alle 12:31 pm
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    Grazie Cristina per questa splendida favola, che racchiude la magia del Natale. ♥️

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  • Gennaio 5, 2021 alle 3:32 pm
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    1440 Minuti

    di Anna Pia D’Alesio

    Guardo il presepe tutto illuminato e penso alle feste trascorse. Quest’anno non avevo voglia d’incontrarlo il Natale, sono scappata dalle luci, dai rumori, dell’abbraccio delle uscite per acquistare i regali.
    Vedo, tornando a casa, il Natale in un angolo in attesa di un DPCM. Lo vedo con la mascherina, i guanti, vestito con un camice bianco: è lì, ha paura di salutarmi. Mi allontano da lui e solo allora mi fa un timido cenno di saluto. Finché ero vicina se ne stava rincantucciato, ora prova a farmi capire che il suo stare da parte è una misura che deve prendere, pur ricordandosi di tutti.
    Ma cos’è poi il Natale? Da bambina era la fuga dai nonni, la minestra di ceci e pane la sera della vigilia. Da adolescente è stato il riposo dagli studi per affrontare al meglio i mesi seguenti. Da sposina è stata la cena e il pranzo sontuoso preparato dai suoceri e dai genitori. Da mamma la ricerca dei regali per i figli per farli sentire accolti e amati.
    Oggi, Natale 2020, mi sembra sia diventato quel pezzo di legno abbandonato su una sedia al quale Pinoccio, divenuto bambino, dedica di sfuggita uno sguardo amorevole.
    Guardo l’albero pieno di luci a intermittenza e sogno. Torno in quell’angolo dove il vecchio Natale si è adeguato al clima Covid-19, ho tolto la tuta, la maschera, i guanti. Indosso un abito lungo pieno di luci: sono una fata bellissima. Ho una bacchetta che espande luce, ho delle scarpette che brillano e mi trascinano rendendo il mio passo un vortice di effetti speciali. Sono bella, mi sento bella, mi sento indosso tutti i Natali della mia vita, tutti i Natali vissuti con la consapevolezza di poter fare, muoversi, aiutare, piangere, ridere, giocare, saltare, uscire, ubriacarsi, abbracciarsi, baciarsi….
    Il Natale 2020 mi guarda e tac, con un colpo di bacchetta, diventa un bellissimo principe, pieno di luci, di suoni, pieno di vita.
    Siccome è un sogno mi rivolgo al Natale-Principe e gli dico di andarcene in giro a distribuire gioia al mondo. Lui mi chiede con quale mezzo ed ecco che dal cielo arriva un tappeto volante, sfavillante di luci e pieno di pacchi, che si ferma davanti ai nostri piedi. Saliamo e inizia il nostro giro del mondo in 24 ore: il tappeto che, oltre ad essere volante, è anche parlante ci spiega che la pausa concessa è di una giornata. In questi 1440 minuti possiamo fare di tutto purché l’intenzione sia rendere felici gli altri.
    Il tappeto ci chiede cosa vogliamo fare e, contemporaneamente, rispondiamo che la nostra priorità è cercare zone bisognose di aiuto rispettando l’ordine alfabetico.
    Il tappeto ci conduce in Afghanistan. Scendiamo. La voce del nostro veicolo ci avverte che siamo in zona di guerra. Il conflitto in atto potrebbe crearci problemi. Scorgiamo un casolare e vediamo due bimbi, nel cortile, che piangono, ci avviciniamo e tra le nostre mani si materializza un pacco con la lettera A, lo apriamo e regaliamo luci, giochi e cibo. In fondo al pacco compaiono anche degli abiti caldi e confortevoli, i bimbi li indossano e ci ringraziano felici.
    Torniamo sul nostro veicolo che ci trasporta in un battibaleno in Burkina Faso, paese vittima di sanguinosi attentati. Anche qui incontriamo un gruppo di persone e distribuiamo tutto il contenuto del pacco contrassegnato dalla lettera B.
    Si riparte e si giunge in Colombia. Da quasi quarant’anni questo Stato è sconvolto da una sanguinosa guerra civile. Qui il nostro pacco C soddisfa le esigenze di tantissime persone: chiunque mette la mano all’interno prende quello che fa proprio al caso suo.
    Manca il pacco D, niente paura voliamo in Egitto. Nella penisola del Sinai, da alcuni anni a questa parte il governo egiziano si è spesso scontrato con gruppi di fondamentalisti islamici armati. Qui il nostro pacco E riceve applausi e lacrime di gioia.
    Arriviamo nelle Filippine, Stato dove nell”ultimo anno, ci dicono, ci sono stati più di 1.500 morti. Distribuiamo il pacco F, un pacco Felice, mi dice il Natale – Principe, perché saltella e spande luce e doni di ogni tipo.
    Il tempo passa inesorabile e ci precipitiamo in Iraq dove la crisi ha portato ad una guerra tra l’opposizione e il governo. Il pacco I è ricchissimo ma dobbiamo lanciarlo perché non sappiamo a chi donarlo e l’involucro si divide in tanti pacchetti che si poggiano sulle mani di chi li richiede.
    Arriviamo in Libia dove, dal 2014, è in atto una seconda guerra civile tra due coalizioni. Tra scontri a fuoco, esplosioni e rivolte sono morte 2.500 persone solo nell’ultimo anno. Il mio Principe elargisce a piene mani i regali del pacco L.
    Voliamo in Kashmir. Ci troviamo nel mezzo di una rivolta, ancora in pieno svolgimento nonostante le incoraggianti iniziative di pace, iniziata nel 1989 che ha sempre rappresentato una guerra per procura tra i due colossi asiatici Pakistan e India. Con una giravolta lancio il pacco K e assistiamo alla divisione dei regali.
    Finalmente in Nepal. Qui scontri a fuoco, rapimenti, attentati e estorsioni avvengono quotidianamente. Regaliamo gioia e delizia con il pacco N.
    880 minuti. Voliamo verso la Palestina. Il lungo conflitto con lo Stato di Israele, dopo oltre mezzo secolo di guerre e di patti storici, di atti terroristici e di speranze di pace andate in fumo, il sogno di “due popoli due Stati” resta purtroppo ancora un’utopia. C’è in strada un’aria natalizia, sentiamo anche un suono di ciaramelle che si spande nell’aria. Distribuiamo il pacco P pensando alla parola pace.
    In questa ricerca di luoghi dove portare il nostro aiuto arriviamo con il nostro mezzo volante nella Repubblica Centrafricana. Questo Stato è dilaniato, anch’esso, da una guerra civile, i cui scontri hanno causato circa 500 vittime tra il 2019 e il 2020. Il mio Natale avvicinandosi mi chiede di regalare due pacchi, sia la Q che la R. Questo strano principe sta entrando sempre più nella parte del buon samaritano e smuove nel mio animo un moto di tenerezza. Al pensiero della sua trasformazione mi si affacciano due lucciconi sugli occhi, ma devo fermare il tempo e devo andare avanti. I doni raddoppiati portano felicità e riescono a far tornare un po’ di sorrisi in un luogo dove le aggressioni sono la parola d’ordine.
    1100 minuti, arriviamo in Siria. Ancora guerra civile. Nell’ultimo anno in questa regione sono morte più di 13.500 persone. Osserviamo i pacchi: ci sono tre S. Non ci facciamo domande e prendiamo il più grande. Sopra il pacco un mazzo di rose rosse: mi viene da pensare ad una canzone degli anni sessanta che come ritornello suggeriva di mettere dei fiori nei cannoni. Regaliamo cibo, vestiti e torniamo verso il tappeto.
    Il secondo pacco S è destinato alla Somalia, dove è in atto una violentissima guerra di potere tra i vari clan del Paese, guidati dai cosiddetti “signori della guerra”. Una spirale di violenze che, fino ad oggi, ha provocato quasi mezzo milione di morti. Lanciamo il pacco S sperando di portare sollievo a questo popolo martoriato.
    Con il terzo pacco S ci dirigiamo verso il Sudan. La guerra civile in Sudan si protrae ormai da 20 anni. Nel Darfur è in corso un violentissimo conflitto fra gruppi armati locali e milizie filo-governative. Attualmente i morti vengono stimati nell’ordine di circa 10.000 persone al mese. Il pacco S ci sfugge dalle mani tanta è la voglia di donare un po’ di felicità a questo popolo sofferente.
    Allo scoccare del minuto 1330 ci ritroviamo in Uganda. Qui, da più di 20 anni, è in atto una guerra civile che ha provocato una grave crisi economica. Il pacco U è bellissimo e non vede l’ora di regalarsi ai cittadini ugandesi. Il tappeto ci ha raccontato molti aneddoti sugli ugandesi soprattutto inerenti al nyom, matrimonio tradizionale che dura due giorni. Qui il dono-pacco sembra avere le ali e si precipita fra le braccia dei bisognosi in attesa. Ebbene sì, sembra ci stiano aspettando.
    Siamo arrivati al minuto 1393 quando atterriamo planando dolcemente in Ucraina. Dal 2014 la situazione in questo Stato è complicata, a causa di una rivoluzione violenta che vede contrapposti alcuni gruppi separatisti al governo. Il freddo è pungente ma l’aria è secca. Doniamo i pacchi V e Z perché sono gli unici rimasti. S’intravedono all’interno molte delizie alimentari e Natalino, il mio principino, mi propone di prendere qualcosa. Afferriamo un salamino, mentre lo mangiamo notiamo che al suo posto sono comparsi due salamini: donare e portare affetto in giro per il mondo comporta una ricompensa per l’animo ma anche il corpo ha bisogno di essere esaudito e allora afferriamo il salamino spuntato dal nulla e lo divoriamo voracemente.
    Guardiamo l’ora: 1437 minuti. Il tappeto ci ha detto che se non riusciamo a salire sul tappeto entro i 1440 minuti rischiamo di rimanere dove siamo e allora corriamo, corriamo. e al minuto 1439 e 30 secondi siamo sul tappeto. Con uno schiocco il nostro mezzo di locomozione parte e ci riporta al punto di partenza.
    Abbiamo incontrato la tristezza, la morte, l’angoscia, il terrore e ci ritroviamo ora in un paese in cui non ci sono guerre ma un triste morbo che vuole portarci via la gioia. Facciamo una scommessa e ci proponiamo di saper sfruttare il tempo a nostro favore: ci rivediamo fra 525.600 minuti.

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  • Gennaio 7, 2021 alle 9:07 am
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    Grazie Cristina,per il meraviglioso racconto. Mi hai portato indietro,a quando ero piccola,il Natale aveva il fascino delle cose semplici e dell’amore grande,che si viveva pienamente,con i nonni e l’albero addobbato con carte di caramelle lucide,mandarini e biscottini fatti in casa.E regali costruiti,realizzati dai genitori. Anch’io ho avuto per Natale una bambola di pezza,cucita con mani di mia mamma. Erano gli anni del dopoguerra,ce ne sono voluti di anni per raggiungere lo sfrenato consumismo! Si era felici con poco e i genitori davano coccole ai loro figli. I Natali si sentivano tutto l’anno. Ci si aiutava con il vicinato ed in chiesa c’era sempre aria di Natale. I bambini frequentavano l’oratorio con amore….quanti ricordi mi sta danto la tua bellissima favola. Grazie grazie grazie. E la tua penna è magica come il tuo ” Dono più bello”.

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    • Gennaio 7, 2021 alle 9:09 am
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      ops sta dando..ahi il tastierino

      Rispondi
  • Gennaio 7, 2021 alle 9:40 am
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    Sono l’autrice della favola. Ci tenevo a ringraziare la redazione e i lettori.
    Grazie infinite, per i vostri commenti.
    Un saluto

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