“Un Natale a New York”

di Emanuela Stievano

Il Natale del 2001 rimarrà impresso nella mia mente, come uno dei più particolari e belli della mia vita. Eppure mi trovavo sola, in una città immensa come New York con la prospettiva che gli unici auguri che avrei ricevuto sarebbero stati forse, quelli del personale dell’albergo dove io alloggiavo. Comunque per me in quel momento era molto più importante assaporare la libertà piuttosto che avere tanta gente attorno. Avevo finalmente ottenuto il divorzio e lo volevo festeggiare da sola, in una città con milioni di persone, che non mi conoscevano, ma alle quali io mi volevo mescolare e magari, per un po’, avrei avuto la sensazione di essere una di loro. Nevicava ormai da diverse ore e le strade di Manhattan, alle cinque del pomeriggio, erano già illuminate dai lampioni, dalle vetrine colorate e addobbate a festa e dagli alberi di Natale, che contribuivano a rendere l’atmosfera ancora più magica.

Manhattan e i suoi grattacieli… come si poteva resistere al loro fascino! Mancavano solo loro, le Torri Gemelle…

Qualcuno mi aveva sconsigliato di partire. Mi avevano detto: “Sei pazza? Sono passati appena tre mesi dal crollo delle torri, e tu vuoi andare proprio lì?” Io volevo ascoltare solo il mio cuore ed ero contenta della mia scelta. Percepivo nell’aria la voglia di normalità dopotutto. Ero così immersa nei miei pensieri, che quasi non mi accorsi che stavo letteralmente sbattendo contro ad una donna, mi affrettai subito a fare le mie scuse, quando, guardandola con più attenzione, mi accorsi che qualcosa in quel volto mi era familiare. La cosa buffa fu notare che anch’io ero esaminata più attentamente da quella apparente sconosciuta.

“Mi scusi” disse lei, “ma ho la netta sensazione di conoscerla, ci siamo viste per caso in qualche ufficio qui a New York?” “No” dissi io riconoscendola improvvisamente “ma penso che tu abbia abitato per molti anni a Venezia.”

Ormai non avevo dubbi, la donna che stava davanti a me era Marta, la mia compagna di banco alle medie, nonché inseparabile amica del cuore a quei tempi ormai lontani. Incredule ci abbracciammo tra la gente che passava frettolosamente. Marta mi disse che stava andando a casa, visto che aveva appena finito il suo turno di lavoro, mi disse anche che sarebbe stata molto felice se avessi cenato con lei. Accettai immediatamente. Era vero, ero andata lì per stare sola, ma come avrei potuto rifiutare un invito così inaspettato?

Marta abitava non molto lontano dal luogo del nostro incontro. La zona era residenziale, circondata da palazzi eleganti, che mi facevano immaginare di essere dentro ad una scena di un film di Woody Allen. Marta mi fece entrare in uno di quei palazzi. Tutto era accaduto così in fretta che non pensai affatto a fermarmi a comprare qualcosa per l’occasione, così, mentre l’ascensore saliva, pensai alla magra figura che avrei fatto se i figli di Marta si fossero aspettati qualcosa da me. Quando entrai, tirai un sospiro di sollievo, non c’erano segni evidenti che dimostrassero la presenza di bambini là nei paraggi. L’appartamento non era molto grande ma comodo ed essenziale. Ci sedemmo in salotto e davanti ad una tazza di caffè rigorosamente italiano, iniziammo a raccontarci le nostre storie. C’eravamo perse di vista proprio perché io dopo la laurea mi ero sposata e avevo cambiato città. Marta nel frattempo aveva trovato un ottimo lavoro con la possibilità di viaggiare e girare il mondo.

“Fu bello per un po’” disse lei, “poi mi trasferirono qui a New York, da dove non mi sono più mossa. Vivo qui da cinque anni ormai e ti sembrerà strano ma non ho nostalgia di tornare. Considero questa città, questo appartamento, questo quartiere, casa mia.”

Marta non si era mai sposata perché come disse lei, non aveva ancora trovato l’uomo dei suoi sogni e comunque stava molto bene anche da sola. Io le raccontai la triste fine del mio matrimonio, omettendo, per pudore o forse per non voler essere commiserata, le parti più sgradevoli. C’erano cose che avevo discusso solo con la mia psicologa e non ero ancora pronta a condividerle con altri.

La serata fu molto piacevole e alla fine Marta fu così gentile da chiamarmi un taxi. Prima di andarmene le augurai un Buon Natale, in fondo mancavano solo tre giorni alla festa più sentita dell’anno. Marta disse che per l’occasione sarebbe stata fuori New York ospite di amici. Disse anche che sarebbe stata felice di portarmi assieme a lei, che non ci sarebbero stati problemi per questo.

Per un attimo fui tentata di accettare invece dissi: “Ti ringrazio ma è meglio di no. Comunque ci rivedremo prima della mia partenza.” Marta mi fissò con perplessità poi armeggiò dentro la sua borsa e ne tirò fuori un biglietto da visita.

Mi disse: “Chiamami se cambi idea.”

“Sei tecnologica!” dissi, riferendomi al fatto che avesse anche un telefono cellulare.

Lei mi sorrise, le diedi un ultimo abbraccio e me ne andai. Perché avevo rifiutato? Avevo deciso di rimanere sola per Natale ma io sapevo che non era solo quello il motivo. La serata con Marta era stata gradevole, ma in qualche modo non vedevo più in lei l’amica del cuore che era stata un tempo. Anche l’amicizia che ci aveva legato era qualcosa di lontano. Ci eravamo raccontate esperienze delle nostre vite da adulte, quando invece avremmo dovuto ricordare i bei vecchi tempi quando sghignazzavamo tra i banchi di scuola, o quando ci giuravamo amicizia eterna. Chissà quanti aneddoti avremmo riesumato dai nostri cassetti della memoria… Mi venne in mente allora che proprio Marta aveva ipotizzato che ci saremmo sposate e che saremmo andate ad abitare nello stesso palazzo, così da stare sempre vicine. Avevamo dodici anni e noi ci credevamo veramente quando facevamo quei discorsi.

Ad un tratto mi sentii colpevole. Cosa pretendevo dopotutto dagli altri? Schiettamente dovetti ammettere a me stessa che nemmeno io avevo fatto nulla per ricordare i bei vecchi tempi. Ma poi, era proprio così necessario? Dopotutto Marta era stata gentile e ospitale. Non aveva esitato un attimo quando si era trattato di invitarmi a casa sua. Cos’altro potevo pretendere di più? Ripensai alla perplessità del suo sguardo mentre rifiutavo il suo invito. Ero stata io ad allontanarmi e non lei. Perciò, tirai fuori il bigliettino che mi aveva dato Marta con su scritto il suo numero di telefono e senza pensarci troppo, la chiamai chiedendole se quell’invito era ancora valido.

Tutto questo succedeva esattamente venti anni fa.

Andai a quell’invito e lì accadde qualcosa di inaspettato. Non so se fu il fato o il destino, o se, invece, la magia del Natale ci mise lo zampino fatto sta che, in mezzo a tutte quelle persone, incontrai l’uomo della mia vita, un francese da poco arrivato a New York di nome Serge. Era buffo parlare in inglese con i nostri accenti d’oltre oceano. Ridemmo tanto quel giorno.

Fu un Natale memorabile.

A volte penso a quello che avrei perso se non avessi richiamato Marta. Avrei perso l’incontro più importante della mia vita. Credo che a volte, arrivino dei segnali in nostro soccorso, sta a noi captarli. Serge lavorava tra Parigi e New York. Ci innamorammo e assieme decidemmo di rimanere nel luogo in cui ci eravamo conosciuti. Fu solo dopo alcuni mesi in cui ci frequentavamo che Serge mi confessò che quel giorno non era sua intenzione andare a quella festa. Avevamo rischiato entrambi di non conoscerci mai.

Adesso siamo di nuovo a Natale e come vent’anni fa, sto ancora camminando per le strade affollate di Manhattan, devo incontrarmi con Marta ma stavolta abbiamo un appuntamento ben preciso. Dobbiamo fare i regali di Natale e, come ogni anno, saremo estremamente indecise. Come sempre finiremo per comprare qualcosa di assolutamente inutile, ma una cosa è certa, le risate saranno assicurate, e, per un po’, ci sentiremo di nuovo come quelle due dodicenni, che tra i banchi di scuola si giuravano amicizia eterna e che nella loro ingenuità, pensavano che non ci fossero ostacoli nel loro cammino.

Come sono grata al Natale del 2001. E’ stato allora che sono finalmente tornata a vivere.

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