“E pensare che Brad Pitt neanche mi piace”

di Maria Francesca Laganà

Da sempre Amalia si era immaginata le sue nozze come un banchetto di corte: lei sarebbe stata la regina, Paolo il suo re.

In piedi di buon mattino, cinta da uno stuolo di truccatori, parrucchieri, manicure, sarebbe scivolata per un giorno dentro una favola da rievocare nei tempi di magra. La gente ci avrebbe ricamato su per settimane.

Ma mentre guardava allo specchio la faccia color melanzana, gli occhi annegati in fondo a due pozze nere, pensò che neanche un miracolo le avrebbe restituito l’aspetto di prima. Altro che regina! Sembrava sopravvissuta a un rave party.

Alitò sul palmo della mano e un tanfo di marcio misto ad alcol le salì fino alle narici, provocandole un senso di nausea. La testa le doleva come fosse stretta dentro a una tenaglia. Ingoiò un’aspirina, augurandosi che le facesse effetto subito, affinché insieme al mal di testa si diradasse anche la nebbia che le impediva di mettere a fuoco le immagini della sera precedente.

Bussarono alla porta ed entrò sua madre, già a quell’ora confezionata in un vestito azzurro cielo che le lasciava nude le braccia flaccide. A vedere la figlia gettò un urlo, avviò un monologo fatto di Oh-mio-Dio-cosa-ti-è-successo-ma-come-sei-conciata! e la spinse di forza sotto il getto della doccia. Quindi le chiese se l’avessero pestata durante la notte. Infine, mentre Amalia l’assecondava come un automa, aggiunse: «Te l’avevo detto di non uscire ieri sera, ma tu fai sempre di testa tua. Muoviti, sono già le sette!»

E in un attimo la stanza fu meta di un andirivieni di gente pronta a valersi di tutte le sue arti per trasformare il bruco in una splendida farfalla. Amalia fu catapultata in un caos di ciprie, pennelli, ciglia finte, phon, arricciacapelli, e intanto cercava invano di risuscitare nella mente i dettagli della serata alla Lanterna.

Niente da fare: l’aspirina aveva diradato l’emicrania ma non la nebbia, da cui emergevano sprazzi di luci, musica, grida, risa sguaiate.

Inviò raffiche di messaggi alle amiche, nel tentativo di saperne di più.

«Mi dispiace» le rispose Roberta. «Ero più ubriaca di te. Ballavamo con dei ragazzi, a un tratto ti sei tirata su la gonna e hai mostrato a tutti le mutandine. Poi sono crollata sul sofà. Non so cosa sia successo fra te e il biondo… era quello biondo che assomigliava a Brad Pitt, vero?»

Alcune ore più tardi, nella sposa avvolta in una nuvola di pizzo che il fotografo immortalava nelle pose più varie, nessuno avrebbe riconosciuto la ragazza stropicciata del risveglio.

Sulle scale e in macchina, al braccio del padre, Amalia corse col pensiero ad anni luce di distanza dal tripudio di gente che l’acclamava e gridava Auguri!

Amava Paolo dai tempi del liceo, era stato la sua prima volta e non aveva avuto altri uomini da allora. Le sue amiche volevano a ogni costo organizzarle una festa di addio al nubilato, ma lei si era opposta. Detestava quelle feste lì. Si finiva col bere troppo rischiando di cadere in tentazione con dei fighi pazzeschi che ti sventolavano sotto al naso tanto di tartaruga e bicipiti al vento. Alla fine aveva accettato di uscire a bere qualcosa, solo un’oretta però, ché l’indomani doveva alzarsi presto ed essere al meglio della forma. E invece, non sapeva come, la serata le era sfuggita di mano.

Seduta sul sedile posteriore della limousine accanto al padre, Amalia tentava adesso di scacciare il tarlo che non le dava tregua. Perché era certa di aver fatto qualcosa, in quel locale, che non avrebbe dovuto fare. Se solo fosse riuscita a ricordare cosa.

La limousine si fermò al semaforo, l’ultimo prima d’imboccare il viale della chiesa. Suo padre le strinse la mano, la guardò negli occhi e incominciò a parlarle. Amalia non sentì nemmeno una parola, perché proprio in quell’istante il velo che le appannava la memoria si squarciò, e al posto del padre vide il ragazzo biondo di cui le aveva detto Roberta: la guidava per mano nel privé, le sfiorava la pelle con le mani, le labbra di lui a pochi centimetri dalle sue. Cercò di andare oltre, ma maledizione! Non ricordava altro.

Le sgorgarono le lacrime.

«Non piangere, tesoro» disse il padre, convinto che fosse stata la sua dichiarazione d’amore a commuovere la figlia, «o ti rovinerai il trucco». Amalia non rispose. Doveva ricordare cosa era successo in quel cazzo di privé, e doveva farlo prima di arrivare all’altare.

La macchina si fermò davanti alla chiesa. Tutti videro la sposa scendere di fretta, sussurrare parole all’orecchio del padre e puntare verso il retro sfilando davanti alle damigelle impalate negli abiti di tulle rosa con i bouquet in mano. Il padre invece, col viso in fiamme, percorse a passi svelti la navata fino alla sagrestia, mentre gli invitati si scambiavano occhiate d’incredulità.

Amalia entrò in bagno e attese Don Giacomo. Arrivò in un baleno, frusciando nei paramenti da cerimonia come un colombo che sbatte le ali.

«Che succede, ragazza mia? Ti sembra questo il luogo adatto a una conversazione?»

«Non avevo scelta, Don Giacomo, nessuno deve vederci. Voglio confessarmi. Ho tradito Paolo».

«E quando? Ti ho confessato ieri mattina, perché me l’hai taciuto?»

«Stanotte. In realtà, non so se l’ho tradito davvero. Non me lo ricordo. Ricordo soltanto che sono uscita con le amiche per un drink e abbiamo incontrato dei ragazzi e mi sono appartata con Brad Pitt o meglio con uno che aveva la faccia di Brad Pitt e pensare che Brad Pitt neanche mi piace! Da qui in poi il buio. Con quel tizio può esserci stato tutto o niente, ma se è vera la prima ipotesi non potrò mai perdonarmelo. Io no, ma il Signore sì».

Don Giacomo restò di sasso. Credeva di aver visto tutto nella vita, invece ogni giorno ce n’era una nuova che soffiava il primato a quella del giorno prima.

«Mi deve assolvere, padre. Non posso sposarmi davanti a Dio con questo peso sulla coscienza. A Paolo lo dirò dopo, glielo prometto, in qualche modo metterò le cose a posto, sperando che nel frattempo mi torni la memoria. Non posso mandare all’aria il matrimonio adesso, con duecento invitati che aspettano di là in chiesa».

«Benedetti giovani! Ma che c’avete nella testa? Dio perdona tutto, è vero, non per questo dobbiamo abusare della Sua misericordia!»

«La prego, mi assolva, faccia presto!»

«E va bene! Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Dio mio, aiutami tu, non negare il Tuo sostegno a un umile servo!»

Amalia e Don Giacomo uscirono dal bagno. Erano stati tutto il tempo a parlare nella zona dove c’era il lavabo, alla saletta interna adibita ai servizi nessuno dei due aveva badato. La porta si aprì subito dopo. Ne uscì Paolo, bianco che sembrava l’avessero lavato con la varichina.

A lui la pipì era scappata davvero. Aveva sentito tutto, per filo e per segno. Avrebbe tanto voluto uscire fuori e urlare ad Amalia che era una troia, vera o presunta poco importa, la sostanza non cambia. Non l’aveva fatto per rispetto del prete, e perché lo shock era stato così forte da paralizzargli gli arti e la voce. Non gli restava molto tempo, doveva agire subito. C’era un’unica soluzione: saltare dalla finestra e scappare. Lontano da Amalia, dall’altare, da Don Giacomo, dagli invitati, dal matrimonio.

Ci pensò su un attimo, aprì la finestra, spiccò un salto e si dileguò fra il verde dell’erba.

A mezzogiorno in punto Don Giacomo capì di aver perso la speranza.

Da circa un’ora non si avevano più notizie dello sposo. Non pervenuto, scomparso nel nulla. Nel lungo esercizio del suo ministero il prete non si era mai sentito tanto irritato, almeno non fino a quando aveva avuto la disgrazia d’imbattersi in quei pazzi scatenati che avevano la presunzione di metter su famiglia insieme. E come se non avesse già sprecato abbastanza tempo, gli sarebbe toccato pure d’inventarsi una scusa per licenziare la marea d’invitati che inondava la chiesa. Lo stomaco cominciava a brontolare. Chiuse gli occhi e gli sembrò di sentire il profumo dell’arrosto ai funghi porcini che la perpetua gli cucinava la domenica. Per un attimo pensò a quanto fosse ingiusta la vita: era costretto a stare lì, ostaggio dei capricci di due irresponsabili che avevano scambiato la chiesa per un bivacco, mentre avrebbe potuto essere già spaparanzato in canonica a godere della sapienza culinaria di Rosina e della compagnia di un buon bicchiere di vino rosso.

“Don Giacomo! Vieni, presto, la sposa si è chiusa in bagno! Non vuole uscire!”

Le urla di Mariuccio, il chierichetto, lo riportarono sulla terra. Ci risiamo, pensò, e nel frattempo si avviò svolazzando verso il bagno: in quarant’anni di servizio pastorale nella parrocchia dell’Addolorata non ricordava di averlo mai visto così frequentato.

“Benedetta figliuola, cos’altro succede adesso? Non vorrai confessarti di nuovo? Apri la porta! Se rimani chiusa lì dentro non potrò esserti di aiuto” cominciò a gridare.

“Eravamo in attesa che Paolo si facesse vivo – intervenne il padre, visibilmente provato da quello che per lui era diventato un incubo – quando è arrivato un messaggio sul cellulare. È scoppiata a piangere ed è corsa a rinchiudersi in bagno”.

Il signor Aurelio si accasciò sulla sedia stringendosi le tempie con la mano, quindi proruppe in un torrente di imprecazioni in dialetto pugliese di cui Don Giacomo, oriundo siculo, riuscì a distinguere appena qualche sillaba.

“Ma lo sposo? Dov’è?” provò a chiedergli il prete. Non ci capiva nulla di quella baraonda; a quanto pare, però, il signor Aurelio e la moglie ci capivano meno di lui. Avevano preso a battibeccare fra di loro, l’uno invocando la testa del genero, l’altra inveendo contro la figlia: svampita com’era, di certo ne aveva combinata un’altra delle sue. A turno si accostavano alla porta, e provavano, ognuno a suo modo, a convincere Amalia a lasciare il nascondiglio.

A un tratto un brusio più intenso annunciò il ritorno dello sposo. Si fece strada fra la folla stipata davanti alla chiesa e in un istante fu dietro la porta. Paonazzo in viso, gli occhi lucidi, il frac tutto stropicciato come fosse stato tra le cosce delle monache, pareva uno appena scampato a qualche disgrazia.

In realtà Paolo fra le cosce di qualcuno c’era stato davvero. Giulia, la testimone di nozze di Amalia, gli si era parata davanti sul marciapiede mentre lui tentava di fuggire in macchina il più lontano da lì. Se l’era caricata in macchina, sollevato di aver trovato una spalla su cui piangere la fine del suo matrimonio ancor prima che fosse cominciato. Ma la spalla non gli era bastata: tutt’a un tratto si erano ritrovati in mezzo alla campagna a fare acrobazie sul cofano della macchina. La performance sarebbe potuta passare sotto silenzio se l’istinto di vendetta non l’avesse accecato a tal punto da spingerlo a inviarne col cellulare qualche fotogramma alla sua mancata sposa. Era poi ritornato in sé, aveva mollato Giulia per strada e si era fiondato in chiesa per rimediare al fattaccio.

“Amalia, fragolina mia, apri la porta! Ti amo, e anche tu mi ami, non posso vivere senza di te! Ti prego, fammi entrare, risolveremo tutto!”

E intanto tentava di buttare giù la porta, ignorando le proteste di Don Giacomo, che lo minacciava di addebitargli i danni.

Quando tutto sembrava perduto, uno scatto della serratura annunciò l’avvio delle negoziazioni. Paolo guizzò dentro alla velocità di un ratto; gli altri, fuori, rimasero in silenzio, chi in attesa di un segnale di distensione, Don Giacomo pregando Iddio che i due si decidessero a porre fine alle ostilità e lo lasciassero godersi in pace il pranzo domenicale.

A un lungo silenzio, seguì un profluvio di oscenità da far sbiadire i graffiti di Pompei.

“Corri, Mariuccio! Vai dall’organista e digli di suonare! Che suoni quello che gli pare… l’Ave Maria, la Marcia nuziale, l’Alleluia, l’Inno di Mameli! Tutto, purché copra quest’indecenza!”

Mezz’ora dopo, gli invitati non ne potevano più delle note dell’organo. Ne erano stati rincuorati, all’inizio, convinti che la celebrazione stesse per cominciare. All’ennesimo Alleluia, stufi di sorbirsi quella pantomima, si apprestavano in piccoli gruppi a lasciare la chiesa.

“Fermi! Non andate via!” li trattenne Mariuccio correndo in affanno verso il portone. “Accomodatevi nei banchi, fra qualche minuto saremo pronti”.

La quiete dopo la tempesta, pensò Don Giacomo. Sembrava tutto risolto, grazie a Dio. Esaurito il repertorio di parolacce, gli sposi avevano preso a discutere civilmente, quindi erano usciti dal bagno mano nella mano e avevano chiesto scusa per il trambusto. “Solo una cosa, Don Giacomo” aveva detto Paolo. “Giulia e il fidanzato non potranno partecipare alla cerimonia, dobbiamo sceglierci altri testimoni. Roberta sarà la testimone di Amalia, mio cugino Andrea il mio. È venuto dall’Australia proprio per il matrimonio, non lo vedo da anni, ne sarà felice. Da piccoli eravamo come fratelli”.

“Via, via” tagliò corto il prete “andiamo, stiamo facendo notte! Dei parenti ritrovati mi parlerai dopo. Muoviamoci!”

A Dio piacendo, forse ce l’avrebbe fatta a pranzare in tempo prima del funerale delle quindici.

La sposa avanzava a passi lenti verso l’altare, al braccio del padre, sulle note di Mendelssohn. Lo sposo l’attendeva sulla navata destra della chiesa con il cugino al fianco. Sembrava non fosse successo nulla, come se Amalia non avesse mai messo piede alla Lanterna, e Paolo non fosse stato protagonista dell’intermezzo erotico sul cofano della macchina con la testimone.

Omnia vincit amor, pensava Don Giacomo con un sorriso finto stampato sulla faccia mentre osservava dall’altare i due fedifraghi che sembravano Romeo e Giulietta.

Amalia continuava ad avanzare, ma a Paolo non badava più. Teneva gli occhi fissi sull’altro, lo spilungone biondo in piedi accanto a lui. Le sembrava di averlo già visto, ma forse era soltanto una suggestione dovuta alla stanchezza. Anche quando si ritrovò di fronte a Paolo, non riuscì a smettere di guardarlo, e le sembrò che lui facesse altrettanto.

Paolo le alzò il velo, la baciò sulla guancia e le sussurrò all’orecchio: “Questo è Andrea, mio cugino. Non è identico a Brad Pitt?”

Amalia gli gettò un’ultima occhiata, quindi rivolse di nuovo lo sguardo a Paolo. Fu un attimo, e all’improvviso in testa le scoppiò una batteria di fuochi d’artificio.

La Lanterna, il privé, la musica, l’alcol, le luci, lui che la bacia, la tocca, la spinge contro la parete, le alza la gonna. Lei lo lascia fare.

“Amalia! Amalia!” gridava Paolo dando alla sposa degli schiaffi sulle guance per farla rinvenire. “Portate dell’aceto, dell’acqua, fate presto! Amore mio, cosa ti è preso?”

Ci risiamo, pensò Don Giacomo, con le mani fra i capelli. Ricacciò in gola un paio di insulti, salutò in cuor suo l’arrosto e il bicchiere di Chianti, e scese dall’altare a soccorrere la sposa. Era pur sempre un pastore di anime, non poteva abbandonare le sue pecorelle, anche se, non se lo nascose, le avrebbe cacciate volentieri a calci dall’ovile una volta per tutte. Purtroppo, però, non poteva farlo. La coscienza gl’imponeva di resistere, fino alla fine.

Se mai ci sarebbe stata, una fine.

***

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