Pasqua di Resurrezione

di Fabio Losacco

“Complimenti Francesco! Hai vinto il primo premio della lotteria di Pasqua!”

Quella frase della cassiera del bar dove andavo a fare colazione mi aveva colto di sorpresa. Ma di cosa stava parlando?

“Veramente io non ho comprato nessun biglietto!” le risposi.

“Guarda che mi ricordo benissimo di avertelo venduto e tu mi hai anche detto che lo avresti messo insieme alla patente. Prova a guardare.”

Io non rammentavo niente di tutto ciò, ma le mie certezze vacillarono quando, per fugare ogni dubbio, tirai fuori la patente e insieme a questa saltò fuori l’altra parte del tagliando con sopra scritto il numero 33. A quel punto fare altre obiezioni non avrebbe avuto senso e, dopo aver pagato il caffè, uscii dal bar con un grosso uovo di cioccolato extra fondente da tre chili stretto gelosamente tra le braccia come un tenerissimo cucciolo.

Mancava ancora un giorno alla Pasqua ma un po’ del cioccolato che mi era piovuto dal cielo per un caso fortunato e inaspettato mi avrebbe stimolato le endorfine e magari migliorato l’umore che, avvicinandosi le feste comandate, virava sempre verso il cupo. Quindi strappai la stagnola, ruppi l’uovo senza nemmeno curarmi di quale fosse la sorpresa e mi misi in bocca un grosso pezzo della scurissima cioccolata. Aveva un sapore delizioso e, mentre si scioglieva, mi lasciai avvolgere dal suo gusto e dai ricordi lontani dei peccati di gola della mia infanzia ormai perduti per sempre. Quindi mi sedetti sul divano, stesi le gambe e chiusi gli occhi.

“Francesco! Ti avevo detto che non dovevi toccare il tuo uovo fino alla domenica di Pasqua! Sei proprio quello che puoi essere!”

Quella era esattamente la frase che mia madre mi riservava ogni volta che le disobbedivo e che inevitabilmente precedeva un rimprovero o una piccola punizione. Ma chi era che l’aveva pronunciata adesso? Aprii gli occhi e quello che vidi mi parve subito familiare ma, proprio per questo, molto, ma molto strano. Mi trovavo nel salotto della casa dei miei genitori, seduto proprio di fronte all’antica libreria straripante di volumi, solo che quella libreria non esisteva più e che la casa era stata venduta subito dopo la loro morte. Chiusi e riaprii gli occhi un paio di volte per sincerarmi che quello che stavo vedendo fosse vero e non il frutto di un attacco di allucinata fantasia, ma niente cambiò. Proprio davanti a me adesso c’era proprio mia madre che mi fissava con la sua aria di rimprovero che conoscevo bene ma che non era mai stata troppo cattiva. Del resto, che la conoscessi bene era logico e normale, quello che invece non era né logico né normale, era il fatto che mia madre se ne fosse andata da più di venti anni.

Ma che cosa stava accadendo?

Mi guardai ancora attorno per essere certo di dove davvero mi trovassi ma non potevo avere dubbi. Il salotto era proprio quello della casa dove avevo vissuto infanzia e adolescenza e che avevo svuotato quando entrambi i miei genitori erano morti. E allora com’era possibile che adesso mi trovassi di nuovo lì, con mia madre giovane che mi stava rimproverando per quella piccola, infantile e innocua insubordinazione?

“Quante volte te lo devo dire che non devi aprire il tuo uovo prima di averlo fatto benedire!?”

Aveva ragione.

Era quella la liturgia familiare per ogni Pasqua, solo che da anni non c’era più né liturgia né famiglia.

“Ma mamma…” le dissi, come facevo sempre da bambino quando cercavo di farmi perdonare senza avere alcuna vera giustificazione da poter esibire.

Adesso però lei sembrava già un po’ meno arrabbiata per quello che avevo fatto, mentre il sapore del cioccolato che sentivo ancora sulle labbra testimoniava in modo inconfutabile la mia disubbidienza. Mi alzai e lo sguardo mi cadde sui miei piedi nascosti nei sandali blu con gli occhi che portavo da bambino insieme ai lunghi calzini di cotone bianchi e i pantaloni corti che non avrei abbandonato fino alle medie. Mi avvicinai a mia madre e avvertii subito l’odore familiare della sua pelle, quello che avevo continuato per anni a ricercare schiacciandomi sul viso i suoi abiti abbandonati sulla sedia della camera. Avevo da sempre desiderato di poter rivivere quel momento e adesso, non so come, stava accadendo veramente.

“Scusami mamma, non lo farò più” mormorai con la voce di bambino e il consapevole dolore di adulto.

Senza aggiungere altro l’abbracciai e la strinsi con tutta la mia forza, giurando a me stesso che non le avrei mai più permesso di lasciarmi di nuovo.

“Hai ragione Francesco, ho fatto casino. E’ un altro quello che ha vinto.”

La barista mi sorrise sentendosi in colpa per l’errore.

“Va bene se per farmi perdonare ti offro il caffè?”

Io le sorrisi facendo segno di no con la mano. Il primo premio della mia personale lotteria di Pasqua lo avevo comunque vinto e ne ero immensamente felice.

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