“La lavanderia”

di Laura Boschi

Primo sabato

È tardi, piove e non c’è un parcheggio decente vicino alla lavanderia, quel fottuto camion non si sposta da lì ed io sto nervosa come un gatto bagnato. Mi fa male la pancia per il ciclo, ancora non sono in menopausa, i capelli mi vengono sulla faccia, scombinati ed elettrici con questa cavolo di umidità. Miseria, questi panni da asciugare ogni fine settimana, cerco le monete nella borsa ma trovo solo gli assorbenti, gli auricolari e… gli occhiali da sole!

Prendo la cesta che pesa una tonnellata, ovviamente non posso tenere l’ombrello, mi avvio verso l’ingresso di quella che ormai io chiamo, “la mia lavanderia a gettoni”, la porta è chiusa, quando improvvisamente si apre, o meglio, un uomo dall’interno la tiene spalancata per farmi entrare e mi sorride.

Ok, sto per svenire, forse sto sognando, non può essere reale, un uomo perfino carino ma soprattutto gentile, che ancora pensa che la galanteria non sia un qualcosa del passato, estinta come la cabina telefonica o i dinosauri. Ricambio il sorriso come se non ci fosse un domani, probabilmente un tantino eccessiva, lo ringrazio ma non contenta aggiungo anche un “buongiorno” come se fosse la prima volta che lo dico in vita mia. Sono confusa, le sorprese positive mi disorientano, non so come reagire ad esse, non ci sono abituata!

Inserisco le monete, calcolando 40”. Altre donne, mi pare più stressate di me, sistemano i loro panni nelle ceste, una di loro continua ad aprire e chiudere l’oblò dell’asciugatrice, ne tira fuori qualcosa e lo richiude, lo piega e lo ripone, non so perché faccia così, sembra essere da un’altra parte. È mal vestita o per essere più precisa, è coperta da indumenti, che paiono essere presi a caso dall’armadio, indossa scarpe pesanti, più giuste per una camminata in un bosco, che per le vie di questa brutta città. Esce, si accende una sigaretta e parla, da sola, anche lei inveisce contro il tempo, come se ci potessimo fare qualcosa o ci aspettassimo una qualche risposta!

Devo comprare le sigarette! Ha smesso di piovere, sarà merito delle imprecazioni di quella donna: avranno spaventato perfino il nostro Signore. Il ragazzo dei tabacchi, è sempre lo stesso, sono ormai tre anni che ci diciamo solo “buongiorno, salve, buonasera”, è basso di statura, magrolino ma gentile, svelto ed efficiente, infatti fa cento servizi contemporaneamente, non so davvero come ci riesca, io avrei già mandato tutti a quel paese!

Mi si è affacciato un inaspettato buon umore, mi pare quasi di sorridere, ma forse è solo una falsa sensazione. Entro con una certa spavalderia, che in verità non mi appartiene, saluto i presenti e mi accorgo che Lui è ancora lì. I suoi panni sono asciutti, li sta sistemando nella cesta, piega e ripiega, non ci credo, pure i calzini e le mutande, con una precisione che neppure mia madre ricordo avesse, passano i minuti e penso che vorrei portarmelo a casa! Esistono veramente uomini così?! No, perché io non riesco a credere ai miei occhi, devo fare attenzione, Lui si è voltato, poveretto, starà pensando che sono una patetica frustrata che si entusiasma per un gesto gentile ed un sorriso, non credo abbia torto. Il senso di solitudine che ci pervade un po’ tutti, è pari alle figure di m…. che facciamo in suo nome. Mi pare di avergli addirittura sorriso, o forse lo ha fatto lui, o nessuno dei due, più probabile.

Intanto la donna che parlava da sola, è tornata, aveva scordato la sua sporta o forse il suo inconscio aveva trovato solo un escamotage, per non tornare subito a casa. Un marito pedante e due figli grandi, peggio adolescenti, lo avevo notato osservando i suoi panni. Si può capire moltissimo se si sa guardare oltre dei calzini spaiati, che cadono puntualmente tutti fuori dalle ceste, o nel peggiore dei casi, nell’unica pozzanghera formatasi in strada, che pare essersi riempita solo per annegare il tuo calzino bianco. Aveva un’aria talmente triste, spenta come un cerino consumato, le avrei voluto dire qualcosa, ma non aveva risposto nemmeno al buongiorno dei presenti. Se ne era andata quasi sbattendo la porta, senza voltarsi, sole o pioggia per lei non facevano alcuna differenza. Cavolo, non voglio fare la stessa fine penso, io me ne accorgo se devo chiudere l’ombrello, almeno credo, oh non sarò mica già diventata così cieca d’aver perso di vista il sole, guardando troppo le ombre? Forse stavo diventando triste anch’io, ma lo specchio non me lo aveva ancora rivelato.

La mia asciugatrice segnalava adesso soli due minuti, e girava emettendo quello strano suono di tonfo quando cambia direzione, lo stesso che facciamo noi, quando proviamo a lasciare la strada maestra… per la famosa scorciatoia.

Esco per fumare una sigaretta e dopo pochi istanti anche Lui con la sua cesta ordinata, si avvicina alla porta per uscire, ricambio il favore tenendogli la porta aperta, sorridiamo impacciati, lo vedo salire su una vecchia Punto come la mia, ma di un colore indefinibile, si allontana verso la rotonda e già non esiste più.

Rientro per togliere il bucato, ma non lo piego. Butto a caso nella cesta i panni, pigiandoli con forza eccessiva ed inutile. Sento già che quel mio blando buon umore se ne sta andando, forse a bordo di quella Punto colorata. Vite incrociate solo per pochi istanti che si somigliano un po’ tutte, la normalità non può essere speciale e in me non c’è proprio niente di straordinario. Un concentrato di mediocrità, che non può che condurre ad una vita che gli somigli, né bella né brutta, come milioni di altre vite.

A volte però, penso di essere quel calzino ribelle che non c’è verso, non vuole entrare nella cesta e si disperde, forse nella speranza di trovare il famoso compagno spaiato, caduto chissà dove in un giorno di pioggia. Non so se questi si ritroveranno mai, ma è bello pensare che possa accadere, anche perché il calzino prende la forma del nostro piede, non ne esiste un altro uguale, hanno lo stesso passo ma a volte, percorsi diversi. Essendo io un inguaribile fatalista, aspetto… prima o poi ritroverò quel calzino spaiato, ma per il momento non posso fare altro che salire sulla mia vecchia Punto e tornare a casa con i miei panni asciutti.

Secondo sabato

Stamattina brilla il sole, poco consono ad un inverno che non parla quasi più la sua lingua, resta mite e non convinto, di un freddo che non riesce ad esprimere. Anche il tempo ha preso ad assomigliarci, non sa più cosa deve fare, è disorientato, così un giorno piove e tira vento e l’altro pare primavera. Ha fretta di cambiare, il consumismo d’altronde ha contagiato anche lui e butta via… non ripara niente e cambia in continuazione.

Il mio umore non riesce nemmeno più a stargli dietro, ho un cerchio alla testa ed una tempesta emotiva, molto più di una volta al mese! Che palle, quest’ ansia ormai mi divora, ci convivo pure se non la sopporto e comunque ha sempre l’ultima parola, sta lì ferma dentro di me a condizionare tutte le mie giornate. Non ho più carne nel frigo, cosa diavolo cucino stasera?! Devo fare la spesa, non ho molti contanti… non ho voglia e sono già fusa alle otto e mezza di mattina!

Che faccio qui per 40 minuti? Ok, vado a fare una piccola spesa, tanto a casa manca sempre qualcosa, pure se ci andassimo tutti i giorni, sicuro che ci servirà l’unica cosa che non abbiamo comprato. Ad esempio, lo zafferano, già proprio lui. Una caccia al tesoro è meno complicata e almeno nel gioco ti danno degli indizi, ma riuscire a trovare quelle minuscole bustine gialle, dentro un ipermercato grande come una città, risulta essere davvero un’ardua impresa, alla quale spesso mi arrendo, tornando a casa senza zafferano. Il che non sarebbe una tragedia, se proprio quella sera i tuoi familiari, non avessero sognato all’unisono mentre prendevano il primo caffè della giornata, che proprio quella sera volessero mangiare il riso allo zafferano! Ecco, a quel punto io sclero ed ovviamente nessuno dei presenti ne comprende il motivo, mi guardano come se fossi pazza o peggio, un’esaurita che non sa più nemmeno fare la spesa o servire la cena desiderata.

Mi arrendo, non posso farcela, mi dichiaro colpevole e forse pure non in grado di intendere e volere… così nessuno potrà imputarmi di nulla e nella mia angusta cella, aspetterò solamente il riso allo zafferano!

Terzo sabato

Stamattina mi sono svegliata bene, il che è assai strano, difficile rivolgermi la parola prima del secondo caffè, sarà per quest’aria di anticipata primavera che si respira in un febbraio anomalo, che mette addosso uno stupido sorriso, che solo gli innamorati hanno.

Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto quel sorriso da idioti stampato sulla faccia, che, magari, è durato il tempo di un arcobaleno, ma siamo stati lo spazio di quel cielo, sebbene per pochi istanti. Si potesse cristallizzare quella sensazione di beatitudine celeste, saremmo la specie più felice del pianeta, ma resta una delle molte utopie alle quali ci aggrappiamo quando abbiamo smarrito i colori.

Arcobaleno o no, cammino allegra verso la mia lavanderia, non fa affatto freddo anche se il sole rimane opacizzato dietro una coltre grigiastra che però non promette pioggia, quelle giornate neutre, un po’ così.

Penso che avrei potuto stendere in giardino, già se solo avessi tagliato l’erba e ripulito dai bisogni del mio cane di un intero inverno, non è l’Eden, sembra piuttosto una discarica abbandonata. Ho decisamente un problema con questo giardino, non so dire in che senso, ma non ci vado volentieri, una cosa stupida e del tutto irrazionale, come d’altronde la maggior parte dei miei pensieri. Non ricordo in quale film una donna prossima al divorzio e in avanzato stato di esaurimento nervoso, continuava a gridare al marito del problema che il prato del loro giardino fosse secco, chi ha il prato secco non è felice, ripeteva con ossessiva veemenza, il prato è secco! Aveva decisamente ragione, il mio prato è secco, lo sto uccidendo giorno dopo giorno, non è morto ma sembra nascondere più di un cadavere fra quelle foglie accartocciate e i rami cadenti. Implora pietà, o forse un diverso proprietario, uno di quelli che la domenica mattina tira fuori il tosaerba e lo passa come se fosse la cosa più importante del mondo, dove escono bambini a giocare e mogli sorridenti che desiderano solo accudire uomini e fiori e che sicuramente trovano sempre lo zafferano!

Fortuna che mi ero svegliata bene stamattina…!

Va beh, un piccolo inciampo del pensiero, ci può stare, adesso sorrido, lo giuro e mentre appoggio la cesta e cerco le monete, mi accorgo che per terra di fronte ad una delle asciugatrici, ci sono due calzini piccoli, uno blu e l’altro rosso, adesso sì che rido, i famosi calzini spaiati che a qualcuno son caduti dalla cesta. Mi consolo al pensiero di non essere l’unica, li raccolgo come se fossero i piedini smarriti di un bimbo, lo immagino chiedere alla madre del rosso o del blu… ride e se li mette spaiati, poi corre orgoglioso a farsi vedere, felice di un errore non suo.

Siamo sempre così attenti a non sbagliare che ci dimentichiamo della bellezza di un errore e della sua meravigliosa imperfezione.

Forse ai bambini gli è già chiaro che tutti possiamo essere Batman, Joker o il povero vagabondo, con un calzino blu e uno rosso, dipende solo dalla storia che scegliamo di raccontarci. Io oggi sono sicuramente Batman, domani probabilmente il vagabondo, ma se m’incazzo, sarò Joker quando inizia a sparare…!

Ok, vado a comprare le sigarette dal solito ragazzo che non parla e a fare un giro, mi rifiuto di entrare in un qualsiasi supermercato, ne sono sicura, non manca nulla… o forse sì.

Quarto sabato

Che palle, piove a dirotto e temo che stamattina nessuno mi terrà la porta aperta, infatti mi devo arrangiare spingendo con la spalla destra e la cesta tra le mani. Saluto i presenti con un buongiorno poco convinto, inserisco le monete e mi siedo, con questo tempo non mi va di uscire, aspetterò qui. Una ragazza giovane sui vent’anni, è seduta volutamente un po’ in disparte, tiene dei fogli spillati tra le mani e non distoglie quasi mai gli occhi da essi, immagino sia una studentessa. È carina sebbene affatto appariscente, indossa occhiali da vista e porta i capelli indietro, raccolti in una coda del tutto casuale.

Improvvisamente una inconsueta musica classica risuona all’interno della lavanderia ed io ci metto qualche secondo a realizzare che provenga dal cellulare della ragazza. Comprendo che quei fogli siano in verità spartiti, penso che possa essere una studentessa di musica, probabilmente una strumentista, intenta a ripassare le sequenze delle note riportate.

Improvvisamente provo un’indecente invidia per chiunque abbia una vera passione, che contraddistingue coloro che ne hanno una e che li rende diversi dalla massa, in quanto li allontana dalla mediocrità e dalla noia del quotidiano vivere. Infatti, non si accorge neppure di una coppia appena entrata e che con tutta evidenza, sta discutendo di cose oltre misura fastidiose all’ennesima potenza. Soldi, soldi che mancano, soldi spariti non si sa dove né come… alzano la voce, il tono si fa improvvisamente più duro ed io che non ho un luogo ove rifugiarmi, sento e vedo purtroppo tutto, pure se non volessi. Conosco bene quella tensione di coppia, quegli occhi che cercano verità in chi si ostina a nasconderla, sfuggendo il confronto diretto. Lui le fa capire di abbassare il tono della voce, trincerandosi dietro la scusa di non disturbare, ma in realtà è solo l’ennesimo escamotage per non rispondere alle sue pressanti domande.

Mi pare di guardarmi allo specchio, troppo facile indovinare le parole che si dicono e captare le sensazioni di vuoto e privazioni di vario genere da ambo le parti, di una infelicità sospesa a metà tra un lampo e un tuono. Quando la loro asciugatrice termina il suo ciclo, sembra mettere la parola fine anche alla loro relazione, si alzano senza guardarsi e se ne vanno con la cesta piena e il cuore vuoto. Me ne vado anche io, non piove più e dunque non capisco perché ho gli occhi bagnati, lacrime salate scese senza preavviso che non riconosco come mie, forse non lo sono, ho smesso di piangere molto tempo fa.

Mentre guido verso quella che chiamo ancora casa mia, provo una strana sensazione di ultima volta, di fine di un qualcosa, di addii a luoghi e persone.

Non sono mai più tornata in quella lavanderia; non abito più in quella casa; non sto più con quello che chiamavo il mio compagno; tutto è finito in quello spazio di tempo in cui ho inserito l’ultimo gettone, dopo essermi vista in quello strano specchio riflesso.

FINE

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