“Oggi è così che va il mondo”

di Roberto Anzellotti

Oggi è cosi che va il mondo: di fretta, sempre di fretta.

Ti alzi la mattina, corri in bagno, corri vestendoti, corri per raggiungere l’automobile, corri verso il lavoro.

Uff… poi però ti accorgi che la tua auto si è liquefatta anche questa mattina e non capisci perché queste cose succedono sempre quando hai fretta. Sei in piedi in garage ad un passo dalla pozza di liquido argenteo che era la tua macchina, mai di pomeriggio o magari la sera quando te ne stai beato a casa tua davanti alla tv che prima di trasformarsi in frigo può anche trasmettere programmi interessanti… no, sempre succede quando devi usare quel benedetto autoveicolo. Esci dal garage, è quasi ora del passaggio dello struzzo delle otto e un quarto ed eccolo che arriva puntualissimo con le sue splendide piume arancio e zafferano. E’ bellissimo; poi ripasserà questa sera alle ventuno spaccate che piova, nevichi o sia sereno. Chissà dove diavolo va cosi di fretta e puntuale.

Dovrò, anche oggi, andare a prendere la metropolitana, cosa che mi terrorizza. Arrivo alla stazione di piazza Verdi che sta iniziando a piovere, vedo i cubetti d’acqua che vengon giù ondeggiando elegantemente dando alle strade grigie della città una velatura amaranto che risalta ecumenicamente sulle macchie nere e bianche delle aiuole del vicino parco comunale.

E’ proprio bella Pescara, la mia città. Le alte montagne cubiche sullo sfondo, il mare immobile di fronte, gli altissimi grattacieli svasati alla base, le superstrade elevate e le orde di palloncini colorati che invadono vie e piazze ad ogni ora del giorno.

Sotto terra è tutto silenzio, c’è poca gente, altri a cui si sarà liquefatta l’autovettura, suppongo. Il tunnel è tutto un bagliore di luci iridescenti, da lontano arriva lo sbuffo del treno che dopo qualche secondo si ferma ed apre le sue porte, simili a bocche senza denti. Entro. Viaggio tranquillo, poca gente e tutti impegnati a leggersi la mano.

Arrivo, finalmente, in ufficio; la segretaria mi saluta gentilmente strabuzzando gli occhi, mi siedo alla mia scrivania, tiro fuori il faldone con le pratiche da sbrigare. Quasi senza accorgermene arriva l’ora della pausa pranzo. Mi dirigo verso la mensa dove entro in cucina e mi preparo il pasto. Trovo un posticino a terra nell’angolo destro della sala, vicino a me si siede un ragazzo con in testa un bellissimo turbante color indaco, sta mangiando un panino vuoto e mi parla in sanscrito, lingua che io ormai non pratico più dopo l’esame di diploma magistrale.

E’ finita anche questa giornata, sistemo la scrivania, chiudo i cassetti, getto la chiave nel water, lì accanto alla mia poltroncina e me ne vado.

E’ già sera inoltrata, saranno più o meno le quindici e trenta, nel cielo appaiono le sette magnifiche stelle del firmamento e la luna si affaccia dalle cime degli alberi spogli con la sua facciona tutta a strisce multicolori. Colibrì e tupaie svolazzano e scorrazzano tra i fiori neri del parco: questo è il momento più bello della giornata per me. Mi siedo sulla mia solita panchina tra le aiuole odorose, panchina verniciata di fresco e lascio che l’odore soave della vernice mi avvolga i sensi e mi imbratti il vestito. Si siede, vicino a me, una giovane ragazza bionda, dal lieve odore di petrolio e senza neanche salutare, inizia a raccontarmi di una sua amica che non fa altro che aver fortuna nella vita: vince alla lotteria, sposa il miglior uomo del mondo, ha un lavoro che la riempie di soddisfazioni, buonissimi e affezionati amici, insomma non ne può più e non sa cosa fare per riportare un po’ di sfortuna, un briciolo di sfiga nella sua esistenza. Chiede a me un consiglio. Io le spalmo un po’ di fango sulle guance, la saluto gentilmente e me ne vado. Cammino verso casa tra cumuli di bignè e strati di violette africane accumulate in bell’ordine ai lati della strada, bisogna dire che questa nuova amministrazione comunale le cose le sa fare; i lampioni si spengono in frequenza al mio passaggio, le foglie degli alberi stormiscono ed io mi sento in pace e tranquillo. E’ bello quando ti accorgi che tutto va come deve andare, che tutto nel mondo è logico e consequenziale, ti senti protetto dall’evidente piano organizzativo che sottostà alla natura ed alla società.

Con queste riflessioni in testa arrivo davanti al portone di casa mia, le luci sono tutte accese naturalmente; mi arrampico e scavalco il cancello, accarezzo il cane di gesso che fa la guardia al lato della porta principale, entro. Il televisore è ancora lì, lo accendo e rimango a guardare le affascinanti linee grigie e nere che attraversano lo schermo, mi accorgo che è tardissimo, quasi le ventuno, vado verso il bagno, doccia, l’acqua è fredda al punto giusto, poi la raccolgo dal pavimento e la getto quasi con amore nel lavabo. Tocca ai denti, oggi ci laviamo quelli di sopra. Finalmente sono pronto per andare a letto: getto di lato le coperte, abbraccio il mio inseparabile attaccapanni e mi addormento. L’ultimo pensiero che mi sovviene è dolce e rassicurante: oggi è cosi che va il mondo.

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