di Luisa Patta
Il bimbo gattona. Ha le ginocchia sporche e pochi mesi di vita. Ha imparato ora a farlo e va sempre più veloce. Sta seguendo una palla che rotola. La mamma è lì a un passo, non lo perde di vista un secondo, come il bimbo fa con la palla.
Il bambino ora è su due gambe e corre veloce, ha quasi raggiunto la palla. La mamma è a bordo campo e lo incita, è la sua prima partita. La palla aumenta la velocità, lui perde l’attimo e l’avversario la mette in rete.
Ma la palla continua a rotolare, stavolta è il ragazzo a dettare il gioco. Scarta i difensori, arriva alla porta e segna il suo primo goal. La mamma esulta di gioia.
La situazione di vantaggio è piacevole, ma nulla è definitivo in questa partita.
La palla avanza e il gioco è imprevedibile. C’è fango e pioggia dritta in faccia. L’uomo inciampa, vacilla, ma continua a correre. La mamma osserva le sue gambe forti, i piedi svelti dentro le scarpette. Un tempo era lei a indossargliele, tirando strette le stringhe per non farlo cadere. Quelle stringhe ora non cedono mai, anche se le ha strette da solo. La mamma rimane sugli spalti finché può, poi si allontana. L’umidità le è entrata nelle ossa, è troppo freddo per restare.
L’uomo continua il gioco, la palla non si ferma mai. Ma inizia a essere stanco. Cerca la madre tra gli spalti, si accorge che non c’è. Lascia il campo, la va a cercare. La trova in terra, rannicchiata. Non la ricordava così piccola. Anche la palla è più piccola e continua a rotolare. La mamma, a carponi, la rincorre. Sembra sfuggirle, ma la parete ferma la corsa e lei riesce ad afferrarla.
L’uomo la raggiunge, si siede a terra con lei. Il cielo li sovrasta, il tramonto è vicino. Da lì è bello osservare insieme la fine della partita.
Il tempo è un piano inclinato in cui, in fondo alla corsa, ritrovi sempre tutto.
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Lo spirito, il sentimento di maternità è diventato ormai un tratto distintivo di questa autrice affermata. E, da mamma anch’io, sento lo struggimento per il tempo di crescita dei figli, che scorre troppo veloce.