di Donatella Di Bella
L’eco di un canto celtico sale fin dentro la pupilla.
Vivevo, in un’altra vita, più a Nord. Il mio tempo scorreva sulle mura fredde, oggi diroccate. Ricordi confusi mi pungono come spine. Affiorano dal profilo della luna, dal fumo di una fiaccola. Salgono, dal tremolio della vista in cui distinguo, lungo la traccia lunare, movimenti furtivi. Occhi di donna in fuga. Nella notte di San Giovanni, cercarono di catturarmi. Lupi in agguato e sferragliare di armi.
Scappai nel buio, a piedi nudi, protetta dalla tenebra che dissolse le tracce, strappandomi via da chi mi voleva bruciare. Mi rifugiai nel bosco e dal fitto degli alberi un richiamo mi guidò lungo un nuovo destino. Mi accompagnarono gli spiriti della foresta. Sento il profumo della corteccia, il sapore delle foglie, l’umido della nebbia che si alzava per nascondermi. Salvata dal bosco.
Vennero un giorno a mani vuote, a chiedere di me, dei miei rimedi. Avverto i fruscii provenire dagli alberi, i mormorii. Guarirono davvero o è un’illusione? Un volto, un altro fino a che tutto si mescola dentro al mio respiro.
Nell’arpa svaniscono la fuga e la paura. Sento come una nostalgia. Boschi e foschie nell’occhio che ora cerca la pianta magica per lenire i tagli dell’anima. Ancora un momento lungo le strade appena rischiarate dalle torce, ancora un passo fra le mura, ancora uno sguardo su quella morte elusa.
Svaniscono i luoghi che alla luce del giorno non ricordo più.
A volte riconosco un volto, un gesto, un cuore. Segni indelebili lungo la corteccia del tempo. In questa vita, ti ritrovo immutato, come in quell’altra. Ci rincontreremo di nuovo, forse. Ripercorreremo il cerchio del tempo in quella tua leggenda che si fonde nella mia. Rinasceremo ancora e ogni volta con la medesima forza di Excalibur.
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Racconto fortemente evocativo: lascia immaginare ambienti, ricordi ed epoche lontane. Stile incalzante, metafore d’effetto.