Le calze di Ginetta

di Ester Bonelli

Viveva, una volta, in un piccolo paese, sperduto tra i monti, una ragazza; i suoi genitori erano morti troppo presto e lei si dava da fare come poteva per guadagnarsi da vivere.

Ginetta aveva un gran talento: lavorava a maglia con competenza e rapidità, la sua mamma glielo aveva insegnato.

In quale tempo viveva la nostra Ginetta? Un tempo lontano e senza calendari, senza telefoni, senza aerei da prendere; un tempo in cui la gente si affacciava ai balconi e chiacchierava, o, davanti le porte, seduta su una seggiola, si raccontava i suoi dispiaceri. Nel paese la popolazione era formata per lo più da donne e bambini, gli uomini erano quasi tutti partiti, in cerca di fortuna, chi in Sudamerica, chi in Germania o in Belgio, e poiché tornare costava, finiva che le donne del paese si erano rassegnate a vivere così, senza mariti, fidanzati, corteggiatori.

Ogni tanto qualcuno rientrava, ogni tanto nasceva qualche bimbo.

Ginetta utilizzava i ferri per confezionare ogni capo di abbigliamento, era così brava che la sua fama iniziava a spargersi nei paesi limitrofi.

Ma la ragazza aveva altri talenti: sapeva riparare i lavandini che perdevano, le serrature che si rompevano, i tetti quando qualche tegola cadeva giù sotto il peso della neve. Era magra e agile, e le altre donne facevano riferimento a lei per tutti i guai che accadevano nelle loro case.

Ginetta trascorreva le notti lavorando lesta a maglia, per soddisfare tutti i desideri altrui, ma lei che cosa desiderava? Le sembrava d’esser felice così com’era, bastandole l’affetto della sua gente; era prossima alla quarantina, e bella non poteva essere definita, con quel suo naso grande e un mento prominente che certo non attirava spasimanti, ma non se ne curava, se non avesse trovato un marito, avrebbe continuato quella vita quieta.

Una cosa però le mancava: avrebbe voluto diventare mamma di un bimbo o di una bimba, così da realizzare per loro tante coperte e sciarpe e vestiti e calze meravigliose.

Le calze le riuscivano benissimo, di tutti i modelli e i colori, e quelle non se le faceva pagare mai, le regalava a chiunque ne avesse bisogno. In quel suo paesino tra i monti avevano tutti i piedi caldi durante l’inverno.

Ginetta invecchiava e iniziava ad immalinconirsi, così, per ingannare il tempo e la tristezza, iniziò a cucinare biscotti e dolciumi con i quali prese a riempire le calze che continuava a sferruzzare nottetempo. I bimbi del paese talvolta facevano la fila dietro la sua porta, anche quando non era Natale, e lei non li lasciava mai a bocca asciutta. Anzi, iniziò a considerarli quasi suoi figli, ora che ogni speranza di diventare mamma era tramontata.

Quell’anno, proprio a ridosso delle festività, una violenta bufera di neve si abbatté sulle case e rese le strade impraticabili, tanto che la notte di quel Natale fu la più triste che, lei e i suoi compaesani, avessero mai vissuto, intrappolati nelle loro abitazioni. Ginetta più di tutti soffriva non solo la solitudine, ma anche la pena di sapere i “suoi” bimbi digiuni dalle leccornie che preparava.

Certo non si perdette d’animo e trascorse i giorni in cucina a sperimentare nuovi dolci, aspettando il sereno.

Passò Natale e Capodanno e il freddo avvolgeva ancora il paese. Tutto era silenzio, perfino le campane della chiesetta s’erano gelate.

Finalmente, la mattina del 5 gennaio smise di nevicare, ma le strade erano ancora lastre impraticabili di ghiaccio. Ginetta andò in soffitta, mentre un’idea un po’ balzana le frullava per la testa: e se fosse stato vero che quella vecchia scopa di saggina, che conservava da sempre, avesse il potere di volare come le raccontava tanti decenni prima la nonna?

Era un po’ spelacchiata ma… uno, due, tre! La scopa si librò in volo!

Quella stessa notte, riempite centinaia di calze d’ogni dolce immaginabile, in ogni finestra ne appese una e il suo cuore di vecchina era leggero come quando era lei stessa bimba.

Per ore e ore vagò nei cieli, fino a che l’ultima calza non fu consegnata. Non era ancora l’alba quando una nuova violenta bufera sferzò il paese.

Tre giorni dopo il sole annunciò a tutti che il peggio era passato e mamme e bambini si misero in cammino perché volevano ringraziare Ginetta per i doni.

Di Ginetta a casa non c’era ombra, la cercarono ovunque, sembrava sparita.

Qualcuno pensò che la tempesta del 6 gennaio l’avesse colpita e uccisa, ma ci fu chi disse d’averla veduta volare sulla sua scopa salutando con la mano, e in molti pensarono che stesse ancora distribuendo calze a valle e più in là.

Ma nessuno di loro la vide mai più.

Fu stabilito che ogni anno, il 6 gennaio, avrebbero messo tutti una delle sue calze fuori dalla finestra, in segno d’affetto.

Ciò che non prevedevano è che, ogni anno, quelle calze continuarono a riempirsi, per la gioia di grandi e bambini.

“Le calze di Ginetta” – Ester Bonelli (Mini Concorso Letterario – La Befana: tra Storie e Leggende) – Lettera32 Il Blog
Le calze di Ginetta

Un pensiero su “Le calze di Ginetta

  • Gennaio 6, 2024 alle 11:56 am
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    Molto belli i racconti fantasiosi estrosi da leggere d’un fiato

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