Il giardino delle uova

di Maria Basile

Gina sollevò gli occhi dallo schermo del cellulare con un sorriso estasiato:

– Stasera arriva Carlo! Finalmente! Anche quest’anno Pasqua al giardino delle uova!

Sua madre decrittò correttamente l’informazione e brontolò:

– Se voi due ragazzi vi ricordaste di avere ormai un’età, sarebbe meglio!

Gina rise. Sua madre non perdeva occasione per ricordarle che a ventisette anni era ormai tempo di fare l’adulta, trovare un bravo ragazzo e mettere su famiglia, altro che perdere tempo coi filarini e la caccia alle uova la mattina di Pasqua.

Ma Gina era refrattaria. Era stata una bambina convenzionale; le piacevano le Barbie e le fiabe con fate e principesse, Cenerentola in testa, i nastri nei capelli e i vestiti rosa.

Neanche il liceo era riuscito a invertire completamente la sua passione per la fantasticheria e il sogno. La giovane laureata in discipline economiche aveva vagheggiato per tutta la vita il momento in cui il suo principe azzurro le avrebbe infilato al dito un anello splendente, ornato di una pietra preziosa rossa come l’amore, scintillante per le minuscole sfaccettature che riflettevano la luce. Non intendeva rinunciare. Voleva solo quello. Una sera speciale, preferibilmente a San Valentino. In un giardino profumato.

Tutti i suoi filarini erano stati una specie di rodaggio, più amici che innamorati. In ciascuno trovava almeno un difetto, tale da minare la sua eleggibilità a compagno di vita e le sue storie morivano pian piano, con il diradarsi delle telefonate e degli appuntamenti.

Due o tre si erano risentiti del trattamento e l’avevano accusata di essere una donna fredda, incontentabile, ai limiti dell’anaffettività. Gina non si era scomposta, quelle diagnosi improvvisate non la toccavano: lei aspettava.

Con Carlo era diverso, lui era il suo amico di sempre. Era stato suo compagno di scuola da quando andavano alle materne. Dopo la maturità però lui non aveva voluto saperne di economia e si era iscritto a Lettere Classiche. Gina se l’era un po’ legata al dito, loro due a scuola erano una squadra, le sarebbe piaciuto condividere anche il percorso universitario. La loro amicizia non ne aveva comunque risentito: ogni occasione era buona per incontrarsi e quando Carlo aveva iniziato l’inevitabile trafila dei docenti giovani, fatta di supplenze brevi, in sedi scomode, con orari faticosi, avevano cominciato a passare al telefono ore e ore, rubando tempo al sonno.

E ora c’era il rinnovarsi di quella tradizione: la madre di Carlo era svizzera e aveva importato dal suo Paese la ricerca delle uova di Pasqua in giardino. Alla fine, chi ne trovava di più vinceva il gigantesco uovo di cioccolata che troneggiava in soggiorno. Carlo era sempre stato un tesoro, rifletté ora Gina, l’aveva lasciata sempre vincere, barando con se stesso e indicandole le uova.

La mattina di Pasqua Gina si presentò puntuale, ma in giardino la solita banda di amici non era ancora arrivata; c’era solo Carlo, con una curiosa espressione, determinata e insicura.

– Non sono mai riuscito a dirtelo, ogni volta che mi decidevo tu avevi già un ragazzo nuovo… Ora non posso più rinviare: devo sapere se mi sto cullando nell’illusione che tra noi ci sia un sentimento più forte dell’amicizia, se anche tu lo provi. E se è così… Lo so che è una piccola cosa, – Carlo balbettava un po’ per l’emozione – ma ho sempre pensato che un grande amore deve avere un simbolo concreto, che tutti vedano. Per ora, è questo.

L’anellino emerse dal fondo dell’astuccio con un bagliore striminzito.

Lei riusciva a vederlo a fatica, dovette battere le palpebre più volte. Che stupida, tutti avevano capito, a lei le cose le dovevano spiegare alla lavagna. Lo abbracciò.

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