“Piccoli miracoli”

Città: Palermo

di Maria Basile

Con Palermo è cosi: o la detesti o ne sei innamorato, difficile avere con lei un rapporto intermedio, un affetto sincero ma asessuato, com’era con quella compagna delle elementari con la quale scambiavi quaderni, gelati, figurine e segreti.

Lei è come il primo amore: non importa se l’hai avuta o no, chi ha lasciato l’altro e perché. Ti resta dentro per sempre un sentimento struggente e indefinibile, dove c’è tutto quello che sarebbe potuto essere, l’emozione che ti mozzava il fiato, l’attesa, il tormento, la confusione, la stizza…

Ho provato a innamorarmi di quell’impeccabile cittadina sul lago in cui vivo ormai da vent’anni, ne apprezzo l’efficienza dei servizi, la cura per gli arredi urbani, le estati morbide e soprattutto la dignità di un lavoro che non ho dovuto mendicare e mi è retribuito in proporzione alle mie capacità.

Ci ho provato, ma non è amore, è un matrimonio di convenienza, basato sul rispetto, sulla razionalità e sul reciproco beneficio; mancano i profumi, i colori, i sapori, tutto ciò che aggredisce e seduce i sensi, quello che stordisce ed appaga.

Per questo continuavo a tornare, senza la speranza di rientrare stabilmente (a far che?) e forse senza nemmeno aver voglia di rimettere in gioco i risultati acquisiti.

Questa volta avevo inventato una panzana così ben orchestrata che io stesso facevo fatica a districare la verità dalla menzogna. Brigitte, la mia compagna, aveva convenuto con eleganza che sì, era necessario che mi occupassi finalmente del vecchio appartamento dei miei genitori. L’anziana inquilina che lo aveva occupato era morta da un paio di mesi e bisognava decidere se ristrutturare e riaffittare o vendere. Bitte, come la chiamavo, non aveva insistito per accompagnarmi; forse l’aveva scoraggiata la girandola di appuntamenti con notai, architetti, agenti immobiliari e le discussioni prevedibilmente noiose in una lingua che non padroneggiava. Può darsi anche che volesse lasciarmi spazio, per cercare di comprendere da solo, se ero pronto a recidere quell’ultimo legame con la città. L’ipotesi estrema era che si stesse preparando a lasciarmi. Da qualche mese avevamo aperto un confronto civilissimo e lacerante: Bitte desiderava un figlio, considerava il nostro un rapporto ormai saldo e stabile, maturo per trasformarsi in una famiglia; a me invece piaceva la vita di giovane coppia senza pensieri né responsabilità, pronta a cogliere le occasioni di vacanze, viaggi, impegni sociali, appena la pandemia l’avesse consentito. Il commento di Bitte era stato una sola parola, acuminata: ̶ Cresci.

Naturalmente mi ero offeso e l’argomento era stato accantonato, ma restava lì, ingombrante, malefico. Pian piano stava modificando la nostra relazione.

Dopo una giornata stressante di colloqui, sopralluoghi, stime e preventivi ero andato a rifugiarmi a San Giuseppe dei Teatini, la chiesa della mia infanzia, e ne assaporavo estasiato il silenzio e la bellezza. La funzione della sera era finita da poco e gli scarsi fedeli erano scivolati fuori con circospezione. Ora potevo immergermi in quel trionfo barocco di stucchi, marmi e mosaici, eccessivo eppure armonioso. Mi avevano detto che, dopo parecchi mesi di lavoro, le impalcature erano state tolte e il soffitto era tornato visibile e stavo là, seduto in fondo con la testa in su, soddisfatto come un avaro che contempla i suoi tesori in un caveau. Per questa ragione avevo percepito con fastidio che qualcuno prendeva posto accanto a me. E ancora più irritante era che lo sconosciuto non portava la mascherina: un vero incosciente! Mentre mi spostavo all’estremità della panca, lo osservai con più attenzione: era veramente un personaggio, riccioli fluenti sulle spalle e tunica bianca… Forse era una donna?

Lui-lei rise.

̶ Lascia perdere, era un problema di moda ai tempi della caduta di Costantinopoli, ormai non interessa più a nessuno… Certo, anche voi oggi ne fate di polemiche … Ma non preoccuparti, sono immune ai virus, ̶ aggiunse poi, strizzandomi l’occhio. ̶ È che a quest’ora ho bisogno di sgranchirmi un po’, reggere quella conchiglia per tante ore non è roba da poco !

Fece un cenno con la testa, indicando l’uscita. Fissai la parete di destra, dove l’acquasantiera di pietra era poggiata a terra e l’angelo che la sostiene era scomparso. Non capivo.

̶ Quell’altro non si muove, lui è opera del Marabitti, ha una reputazione da difendere! ̶ Rise ancora, con aria sbarazzina. ̶ Devo tornare al mio posto, sta arrivando il custode per chiudere, non posso dargli questo shock. Sei andato dalla Madonnina?

Quando ero bambino, si poteva accedere a una chiesetta ipogea dedicata alla Madonna della Provvidenza. Era una tappa obbligata perché, nella seconda metà del Seicento, a seguito di lavori, era stata scoperta una falda acquifera nella roccia su cui era costruito l’altare dedicato alla Vergine. Nel quartiere si era diffusa la credenza che quell’acqua fosse miracolosa; mia madre andava sempre a berne un sorso e in casa non ne mancava mai una piccola bottiglia. Oggi la sacra effigie è stata spostata in una cappella della basilica superiore e l’acqua è stata deviata: ora scorre da una fontanella in un piccolo cortile, accessibile dalla navata destra.

̶ Dai, sbrigati! ̶ mi sollecitò. ̶ Lo sai, i miracoli accadono a chi ci crede!

Quando mi voltai a guardare, il fastoso angelo di destra reggeva con la grazia consueta la conchiglia di marmo ocra.

̶ Se deve andare dalla Madonnina, faccia presto. ̶ rincarò l’anziano custode. ̶ Aspetto lei per chiudere.

Mi affrettai a obbedire. Non potevo perdere tempo, dovevo parlare con Bitte.

***

Se vuoi leggere altri componimenti relativi a questa Silloge, clicca sul link: Silloge #ScrittiaMano con Amore – Racconta la tua Città

#Scritti a mano Racconta la tua città – Maria Basile

(Foto di Maria Basile)

“Piccoli miracoli”

4 pensieri su ““Piccoli miracoli”

  • Maggio 20, 2021 alle 9:17 am
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    Carissima Maria, qualsiasi cosa tu scriva, dagli scritti in rima ai nostri alunni prima degli esami a questo mini racconto, è sempre intensa e gradevole; penso che da pensionata potresti dedicarti interamente alla scrittura; un abbraccio virtuale, Cecilia

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  • Maggio 20, 2021 alle 11:46 am
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    Cara Maria mi stupisci sempre! Il racconto mi è piaciuto soprattutto per l atmosfera che si viene a creare alla fine ,ogni lettore può chiudere o continuare a fantasticare usando la proprio immaginazione .

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  • Maggio 28, 2021 alle 8:58 pm
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    Cara Maria, io credo che questo sia uno dei racconti più belli che tu hai scritto. Pieno di sensualità, in questa descrizione dell’amore per Palermo, è ricco di una soffusa magia, per il romantico epilogo. Indovinata la descrizione della Chiesa dei Teatini e la trovata dell’angelo foriero di un miracolo. Bravissima!!!!

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  • Luglio 9, 2021 alle 8:41 am
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    Selezione Lettore Gagliardo
    L’autrice Maria Basile, in questo breve racconto, amalgama con sapiente maestria i ricordi dell’infanzia con la magia dei luoghi ritrovati da adulto. Si immagina uomo, impaurito dalle nuove responsabilità che si prospettano all’orizzonte, restio ad abbandonare quel fanciullo per sempre legato ai profumi e alle origini della sua città natia. È il sangue del sud che lo costringe a tornare, a ripercorrere le sensazioni di ieri per comprendere i bisogni di oggi. Dopo una stressante giornata di pratiche burocratiche, cerca la tranquillità in una chiesa che lo ha visto felice da bambino, ed è lì che avviene il miracolo. Sarà questo inaspettato prodigio a renderlo consapevole che può intraprendere nuove esperienze senza rinunciare alla fantasia e alle proprie tradizioni.

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