“Un piccolo miracolo”

di Nicola Merola

La serratura del portoncino scattò secca e la donna uscì fuori.

I suoi passi lenti schiacciavano il nevischio a terra.

Faceva freddo, d’altronde era la vigilia di Natale, ma lei aveva bisogno di aria!

Aveva nell’animo un non so che di inquieto, che non si spiegava con la vita che conduceva: era felicemente sposata, con un tenore di vita rassicurante. Il marito le voleva bene e non le faceva mancare niente. Il figlio, ottimo chimico, aveva ottenuto un posto di lavoro eccellente a Ottawa. La figlia, laureata in scienze finanziarie, era volata a Londra, dove aveva trovato un buon impiego. Era orgogliosa di loro anche se, dal vivo, non li vedeva da tempo, limitandosi a farlo su whatsapp. Nell’ultima chiamata avevano detto, prima l’uno poi l’altra, che erano incasinati al lavoro e non ce la facevano a tornare per Natale.

Ora, però, era malinconica e aveva bisogno di respirare aria fresca.

Quella sembrava la serata adatta: l’aria era nevosa, il vento gelido le pungeva il viso facendola sentire più viva, al naso arrivavano odori di camini accesi. I vetri delle case erano appannati di gelo e di magia, addobbati con mille luci e mille colori.

Si strinse tristemente nelle spalle, riflettendo che a casa sua non avevano messo fuori nemmeno una stellina. Prima lo facevano ma da quando i ragazzi erano cresciuti ed erano andati via, né lei né suo marito avevano avuto più lo stimolo a farlo.

Tornò a sentirsi una pesante solitudine addosso: come erano cresciuti in fretta i figli!

«Signora, ha qualcosa per me?»

Quella voce improvvisa la fece trasalire. Era un vecchio vestito di stracci, un barbone che ora la seguiva con la mano tesa. Ebbe paura, perché la strada era deserta e perché in TV non si sentiva niente di buono.

Farfugliando un “no” accelerò il passo fino a sbucare sulla strada principale. Qui fu accolta da un’aria festosa: c’era tanta gente che passava, infreddolita ma gioiosa, con borse della spesa e pacchi sotto il braccio. Una mamma si tirava dietro il figlioletto ben coperto, con le sole guance fuori, rosse per il freddo, ma anche per l’emozione del regalo che si stringeva al petto.

La donna alzò lo sguardo verso il cielo scuro attraversato da fiocchi di neve che danzavano per l’aria, prima di cadere a terra: le sembrò di sentire una musica dolcissima. Cercò di capire da dove provenisse e si avviò in quella direzione. Guidata da quella melodia aleggiante nel labirinto di strade luccicanti, arrivò a una chiesa e riconobbe la musica sparsa dagli altoparlanti: “Tu scendi dalle stelle“.

Respirò serena, ascoltando quelle dolci note.

“Da quanto tempo non entro in una chiesa la notte di Natale per vegliare, aspettando la nascita del Bambino Gesù?” pensò.

La facciata della chiesa, illuminata dalla silhouette di una stella cometa e serena al suono della melodia, pareva ferma nel tempo. Sembrava volesse sciogliere quel freddo amaro che l’angosciava, invitandola a star lì, ferma nella neve ad acquietarsi l’animo.

Era esitante: aveva timore di far tardi a rincasare, poi vide alcune persone entrare e pensò che quelli il tempo di andare in chiesa lo avevano trovato.

“Solo pochi minuti!” pensò, avviandosi verso l’ingresso, a capo chino.

«Signora, ha qualcosa per me?»

Di nuovo quella voce! Si voltò e vide il barbone seduto su un gelido scalino che le tendeva la mano aperta. Come aveva fatto ad arrivare lì prima di lei?

“Ma no!- pensò – questo è un altro, questi straccioni sembrano tutti uguali!”

Il vestito, però, sembrava lo stesso e anche l’uomo che se lo stringeva meglio addosso per il freddo: un vecchio con la pelle grinzosa, un grosso naso rosso per il gelo e una barba bianca, incolta e arruffata. Gli occhi erano lucidi, forse per il troppo alcool bevuto o forse per il freddo.

La donna non gli diede troppo retta ed entrò in chiesa.

L’accolse un silenzio rotto solo dal crepitare dei ceri che diffondevano intorno il loro profumo.

Andò a sedersi su una panca, concentrandosi per ricordare qualche preghiera da recitare. Chiuse gli occhi e le ritornò in mente tutta la propria vita: la fanciullezza, l’adolescenza, il matrimonio, i figli.

Già: i figli!

“Gesù – pensò – tu nasci per salvarci dai nostri peccati ma ad aspettarti a venire fra noi stanotte, io sto qui da sola! I miei figli, il mio primo motivo di essere su questo mondo, sono lontani, troppo lontani. Vorrei tanto che fossero con me in questa notte magica!”

Volse lo sguardo al Bambino sull’altare: un Dio che si era fatto Uomo, che avrebbe sofferto e sarebbe morto per cosa? Per i propri figli, per l’immenso Amore che portava verso di loro!

Solo Lui poteva avere tanto di quell’Amore da nascere inerme in una fredda grotta, sapendo già come poi sarebbe andata a finire! Lo sapeva ma lo avrebbe fatto lo stesso, unicamente per insegnare la Via ai propri figli.

Si asciugò una lacrima, tirò su col naso poi, sentendosi osservata, guardò davanti a sé. Sulla panca davanti una bambina, seduta in mezzo ai genitori, la fissava con sguardo impiccione e attirata su di sé l’attenzione, iniziò a fare delle smorfie. La donna non poté fare a meno di sorridere e alla fine arricciò il naso per sfidarla in quel gioco. Una sfida che la bambina subito accolse, arricciando naso, sopracciglia e bocca alla rinfusa finché la madre non la strattonò per una spalla, rimproverandola a bassa voce e facendola girare in avanti.

La donna ci rimase un po’ male perché le piaceva giocare con quella bimba, le ricordava quando giocava con i suoi. Le ricordava quando l’attesa del Natale rendeva felicemente impazienti i suoi bambini fino a contagiare anche lei e suo marito, di come si entusiasmassero, e un po’ bisticciavano anche, nel preparare i regali per i loro figli. Quando il caldo della loro famiglia teneva lontano il freddo fuori, stando tutti uniti davanti al presepe a scartocciare i regali. Attimi di serenità pura che sembravano volessero durare per l’eternità ma che poi così non era stato: la vita… la sopravvivenza, con le sue ferree leggi, aveva cambiato tutto! Si erano lasciati trasportare dai frenetici quanto interminabili eventi di tutti i giorni e quegli attimi di felicità, nei loro ricordi, alla fine sembravano addirittura puerili, fino a non rappresentare più niente, al punto da dimenticarli, quasi rinnegarli!

La panca su cui era seduta si fletté un poco.

Si girò e vide che al suo fianco si era seduto quel barbone che aveva incontrato fuori la chiesa.

“Proprio qua doveva sedersi questo?” si chiese un po’ contrariata.

Lo guardò: il barbone, per rispetto del luogo in cui si trovava, si era tolto il berretto logoro scoprendo così una chioma fluente e bianchissima. Guardava estasiato l’altare e una strana luce gli illuminava il viso. La donna considerò che aveva un non so che di nobile.

Dal coro iniziò una musica dolcissima e i fedeli presero a cantare “Gloria in excelsis Deo

La donna si rilassò, lasciandosi cullare il cuore da quella melodia fatta di note soavi, chiuse gli occhi, con le orecchie lambite da quelle voci che le rallegravano la mente, allontanando i pensieri tristi. Il barbone era fra quelli che più di ogni altro cantava entusiasta.

Si calmò, la malinconia che l’aveva oppressa fino a poco prima svanì e i polmoni si aprirono in un gran respiro.

Respirò ancora forte, pensando che i suoi figli non ci sarebbero stati a Natale a farle compagnia ma, va beh! Dai! Non fa niente! L’importante era che stessero bene e che pensassero a costruire il loro futuro. In quanto a lei sarebbe corsa da suo marito e lo avrebbe abbracciato aspettando la nascita del Bambino Gesù, di nuovo, ora che lo aveva riscoperto dopo anni di oblio.

Con un ultimo sospiro si alzò per uscire quando sentì chiamarsi: era ancora quel barbone!

«Signora, questo è suo?» stava dicendo mostrando un cellulare che teneva in mano.

«No – rispose la donna frugando nella borsetta – il mio sta qua!»

Cercava e cercava ma il cellulare non lo trovava, allora guardò con più attenzione quello che le porgeva il barbone e sembrò di riconoscerlo. Lo prese e lo ravvivò, quello si illuminò mostrandogli il display con la foto di lei, insieme a tutta la propria famiglia, a una gita al lago.

«Se lo stava dimenticando sulla panca. Sarebbe un vero peccato perdere una cosa così preziosa!» disse il barbone.

L’aveva in borsa, come era possibile che stesse lì?

Pensò che, in fin dei conti, quel barbone doveva essere una persona onesta e stavolta lei gli avrebbe dato una moneta.

Lo cercò con lo sguardo ma quello era andato via, sembrava sparito! Pose il cellulare in borsa e si avviò all’uscita.

Plin: whatsapp in arrivo!

Stava per tirare fuori il telefonino quando…

Plin: altro whatsapp in arrivo!

Aprì l’app e le apparve una foto di sua figlia che, cacciando fuori la lingua per gioco, scriveva:

“Mamma, sto arrivando: ci vediamo a Natale! Yuhuu! Devo raccontarti tante cose!”

Non ci credeva! La felicità era tanta che aveva paura di fare qualsiasi altra cosa che potesse guastarla. Stette perciò un po’ prima di aprire l’altro messaggio: era del figlio! Un selfie che lo ritraeva all’aeroporto con il pollice che faceva ‘OK’ e sotto la didascalia nel suo stile:

“Ce l’ho fatta, mamma, a Natale sto da voi! Preparami quel piatto che sai mi piace tanto!”

No! Davvero non poteva crederci: i figli, i suoi figli stavano volando da lei e a Natale sarebbero stati di nuovo tutti uniti, all’improvviso!

Due notizie così meravigliose che giungono insieme possono accadere solo in un sogno… o in un miracolo! Sì, era un miracolo, un piccolo miracolo di Natale che si avverava!

Uscì dalla chiesa con lacrime di gioia negli occhi. Alzò lo sguardo verso l’alto e per un attimo, ma solo per un attimo, le sembrò di scorgere qualcosa di scintillante attraversare veloce il blu profondo del cielo. Poteva essere qualsiasi cosa, magari un riflesso o chissà cosa, ma lei pensò solo:

“Grazie, Babbo Natale! “

***

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