di Giordana Bonacina
Era l’ennesima notte di Natale.
Affacciata alla finestra guardavo in alto, nel silenzio della mia casa e della mia anima. Difficile dire quante stelle ci fossero lassù, mentre cercavo non so che. Forse ero in cerca della stella cometa: l’avessi vista passare, avrei probabilmente potuto credere ancora in qualcosa. Avevo perso la cognizione del tempo e non che me ne importasse granché: non avevo nulla da fare, niente a cui badare e nessuno da attendere. Da quando anche mia madre era partita per il suo viaggio eterno, la solitudine era diventata la mia unica e fedele compagna, soprattutto nelle ricorrenze.
Se prima il Natale mi piaceva da impazzire con il suo scintillio e il suo calore, ora me ne fregava meno di niente. Adesso era un giorno, punto e basta. Non posso nemmeno dire un giorno come un altro, perché era un giorno peggio degli altri. Pensavo con assoluto cinismo all’ipocrisia, all’inutilità, all’apparenza. Mi vedevo sfilare dinanzi tutta quella gente che, in queste ore, si sarebbe scambiata regali quasi mai azzeccati e sorrisi di pura circostanza. Riflettei sul fatto che fosse mille volte meglio stare per conto mio, in compagnia di me stessa e al diavolo il Natale, a cui non credevo più. Il vento soffiava forte quella notte. Abbassai lo sguardo dal cielo al mare e immaginai l’acqua che volava alta sul molo e inghiottiva la spiaggia, le barche che faticavano a reggersi tra le onde candide di spuma. Paragonai tutto quel trambusto a quello che avevo io dentro l’anima.
Mi accesi una sigaretta ma, dopo un paio di tiri, finii per schiacciarla dentro al posacenere. Non mi andava nulla, nemmeno di dare retta ai miei vizi. Tornai alla finestra e finii nuovamente per guardare in alto, come se, disperatamente, volessi per forza trovare qualcosa a cui aggrapparmi, in quella notte di pace per tutti ma di tormento per me. Feci un lungo sospiro: tanto valeva andarsene a dormire e non pensare più a nulla, soprattutto a quella maledetta nostalgia che stava per salire a serrarmi la gola, come tante, troppe altre volte. Già stavo iniziando a imprecare contro ogni cosa, soprattutto contro il destino, che mi aveva privata dei miei affetti più cari, quando, lassù, vidi apparire due luci intense, che sembravano essere puntate dritte su di me. Due stelle dalla luminosità insolita, mai viste prima. Ebbi l’impressione di vederle brillare di diversi colori e mi parve che si ingrandissero, come se si stessero avvicinando. Era solo un’impressione, quelle luci erano assolutamente ferme, ma insistetti nel guardarle. Improvvisamente e senza volerlo mi ritrovai a piangere. La mia mente fu attraversata dal ricordo delle meravigliose vigilie trascorse da bambina, quando mio padre mi raccomandava di andare a letto e di addormentarmi subito, perché sarebbe passato Babbo Natale. Rividi mia madre, intenta a preparare latte e biscotti per le renne e un buon bicchiere di rosso per quel simpatico vecchietto dalla barba bianca, che mi avrebbe portato i regali che tanto desideravo. Distolsi lo sguardo, abbassai la tapparella e me ne andai a dormire per evitare che quel dolce pensiero d’infanzia si trasformasse nel dolore sordo dell’assenza.
Mi svegliai mentre stava albeggiando. Il primo pensiero andò a quel giorno di Natale, che per me sarebbe stato inutile e vuoto. Con gli occhi ancora annebbiati dal sonno, mi alzai barcollando e urtai il comodino. Qualcosa cadde a terra, un frammento di carta, un pezzetto di rivista. Lo presi e ci vidi la forma di un cuore. Rimasi colpita dalla scritta “Ti amerò per sempre”, che stava all’interno di quel cuore improvvisato e bizzarro. Come fosse finito lì, non me lo seppi spiegare. Ripensai alle due strane stelle viste la notte prima, ripensai ai miei ricordi: sentii il cuore scaldarsi e la bocca curvarsi lievemente in un sorriso.
Decisi di uscire e di andare a passeggiare sulla spiaggia. Bastarono pochi metri: appoggiata a uno scoglio, come se si fosse fermata a riposare dopo la notte di burrasca, c’era una vecchia barca di legno, abbastanza scrostata. Riuscii a leggere chiaramente il suo nome: “Guardian Angel” … Angelo Custode. Guardai sorridendo il cielo, straordinariamente limpido e ripresi i miei passi, sentendomi accompagnata da una nuova consapevolezza e da una dolcezza che da tempo non sentivo: chi mi aveva amata, continuava a farlo. La mia mente si riempì fino all’orlo di un pensiero bellissimo: l’amore era eterno e sarebbe andato sempre oltre l’assenza, la mancanza e le distanze. In quel momento compresi di aver ricevuto il mio regalo. In quell’istante capii che, per me, poteva essere ancora Natale.
Un racconto di speranza: l’amore, quello vero, è davvero eterno e travalica ogni confine, anche la morte.