“Un libro fortunato”

di Franco Porchetti

Il nastro trasportatore procede a scatti, senza grazia, senza eleganza e senza pietà.

Tra un po’ toccherà a me entrare in quel buco nero. Non so se sarà la fine o se sarà un nuovo inizio. Misteri del riciclaggio! Ma per non sbagliare, intanto, comincio a raccontarvi la mia storia.

Mi lasciava nei posti più assurdi, per giorni, poi tornava a cercarmi frenetica, ogni volta temendo di avermi perso. Non mi amava, ma per lei ero prezioso e questo mi bastò. Come prima esperienza poteva andare.

Un altro che ricordo benissimo è Edward, un docente universitario di letteratura in pensione. Che soddisfazione sentire la gioia che gli procuravo ogni volta che mi apriva. Pregustava le parole stampate sulle mie pagine come una piccola vigilia, una religiosa sospensione del pensiero prima di cominciare a leggere.
Un giorno mi lesse ad alta voce a un gruppo di suoi ex allievi. Fu emozionante e scioccante insieme, udire le parole, stampate e ferme sulle mie pagine, risuonare nel mondo, al di fuori di me. Declamate, rese pubbliche, risucchiate fuori dall’abituale intimo rapporto con un lettore alla volta.

C’è una cosa che voi umani non sapete: noi libri sappiamo leggere. Quando ci posizionate vicino ad altri libri, noi li leggiamo e veniamo letti a nostra volta; un interscambio, una condivisione naturale, spontanea. Quindi, fateci una cortesia: non metteteci sempre vicino agli stessi libri! Cambiateci posto, mischiateci. Anche la divisione per generi o per autore è una noia mortale per noi. Se volete farci felici spostateci ogni mese.

In biblioteca mi rimettevano sempre nello stesso posto, ma, per fortuna, ci restavo sempre per poco tempo: ero l’unico esemplare, non avevo duplicati e, modestamente, le storie che contengo sono sempre state molto amate e richieste.

Nella mia lunga vita mi è capitato di tutto, ho visto di tutto e ho letto di tutto.

Alla fine degli anni ’40, per esempio, dopo la fine della guerra, mi è capitato di restare per quasi sei mesi nell’ufficio di un giornalista di cronaca nera, di nome Frank, che non si decideva a leggermi e neppure a riportarmi in biblioteca. La cosa per certi versi m’indignava, ma per altri mi divertiva. In quell’ufficio non mi sono mai annoiato, se non la notte, ma solo fin quando non mi ha messo accanto un suo manoscritto. Ci siamo letti a vicenda con grande piacere. Io ero curioso di scoprire se il mio temporaneo possessore avesse la stoffa dello scrittore e lui di scoprire il suo primo libro, dopo aver conosciuto e letto solo una cartellina delle bollette pagate che lo pressava contro il montante della libreria del suo autore.

Per lui fu una grande scoperta che lo pervase di gioia. Per me fu divertente e gratificante scoprire che avevo un posto nel suo manoscritto. Mi citava un paio di volte, e nella soluzione del giallo avevo un ruolo non secondario. Ma quella non è stata l’unica volta che sono stato citato in un libro. Nei primi anni ’70, ho dimorato a lungo nella libreria di un altro scrittore. Si chiamava Max ed era molto giovane: uno scrittore in erba, ma con il talento del “grande scrittore”. I suoi racconti erano già molto godibili. Scriveva di tutto: dal giallo all’esoterico, dallo spirituale all’erotico. Spesso mi consultava alla ricerca di spunti narrativi e sottolineava le frasi che andava scegliendo con una matita. Una volta, distrattamente, ha preso la penna biro invece della matita e ha cominciato a scrivere un appunto sulla mia quarta di copertina. Appena si è accorto dell’errore, si è fermato, ma tuttora, sulla mia quarta di copertina, si legge benissimo quella parola scritta a mano: restituire?

In un suo libro citava me e quella sua distrazione come illuminante esempio della capacità che hanno gli esseri umani di provare sentimenti anche per gli oggetti.
Fu molto gratificante leggere quelle pagine, e, da quel momento, ho incominciato ad andare fiero di quella parola impressa a inchiostro su di me, come di una medaglia.
Ma ora vi devo lasciare sto per essere inghiottito dal buco nero. Addio!

Aspettate! Una mano mi ha afferrato e mi sta sollevando, una mano tremante ma grande e calda. Mi ficca nella tasca del paltò. Buio. Sono ancora qui, incredibile!
Avverto un cambiamento di temperatura: siamo arrivati al calduccio di una casa.

Mi estrae dalla tasca e mi mette sulla sua scrivania, credo. Accende il monitor e comincia a scrivere. Leggo.

Oggi mi è capitata una cosa davvero incredibile, amici miei. Ero in una biblioteca pubblica di quartiere alla ricerca di un libro che seguita sfuggirmi. L’ho cercato in almeno sette biblioteche senza successo. Mentre chiedevo alla graziosa bibliotecaria il rarissimo titolo, ho visto passare degli operai con dei muletti carichi di libri.

– Dove li portano? – Ho chiesto all’impiegata.


– Al macero, sono libri ormai logori, con pagine perse per sempre, dorsi scollati, orecchie oscene, e via dicendo – mi ha risposto la cerbiatta, denotando un certo senso dell’umorismo.


– E dove li distruggono?


– La macchina è qui sotto, al piano interrato: una mastica libri di ultima generazione.


– Posso scendere a vederla? – Le ho chiesto, in preda a uno strano presentimento.


Non so perché, ma l’idea che, forse, tra quei libri simili a cani in un canile, avrei trovato il mio libro randagio, si è fatta strada nella mia mente come uno spazzaneve.


– Lo chieda agli addetti, non so se ci sono delle disposizioni di sicurezza da rispettare.


– Ok, grazie, lei è un tesoro.


Ho intercettato uno degli addetti: un uomo anziano quanto me, dall’aria bonaria e socievole. Ha subito acconsentito.


– Mi segua – mi ha detto.


L’ho seguito.


Mentre scendevamo col montacarichi mi ha confidato:


– Ogni tanto ne salvo qualcuno anch’io, sa? Quelli in miglior stato. Non resisto a vederli scomparire in quel buco nero senza fare niente. Mi sembra un sacrilegio!


– La capisco – gli ho risposto, stupito da tanta franchezza e tale sensibilità.


Nello scantinato interamente dipinto di bianco, c’era un nastro trasportatore che avanzava a scatti facendo sobbalzare i poveri libri ogni due secondi. In fondo alla sgraziata lingua di caucciù, svettava l’arcigna macchina dalla bocca nera e profonda. Emetteva solo un innocente ronzio, a onta della sua natura letale.
A un certo punto, scorgo qualcosa di familiare in mezzo a quella tragica processione di volumi. È una parola vergata a mano con una biro blu: restituire?
È la mia calligrafia! E riconosco anche il libro sul quale è scritta: Storia universale dell’infamia di Jorge Luis Borges! Faccio un tuffo nel passato che m’inzuppa di ricordi e nostalgia. Avevo sì e no vent’anni e mi ero messo in testa di fare lo scrittore. Quel libro m’ha accompagnato per alcuni mesi di quel periodo di letture forsennate. Avevo deciso di leggere tutte le opere prime dei più grandi scrittori.
Lo afferro quando ormai è quasi dentro al pozzo tritatutto. Che piacere risentirlo tra le dita! Come riabbracciare un vecchio amico che si credeva perduto. Un amico di gioventù. Se non sbaglio, gli dedicai anche un breve racconto sul rapporto fra esseri umani e oggetti.
Il libro è l’oggetto per eccellenza! Il più amato per la sua capacità di parlare al cuore, di prendere vita e di darla ai pensieri, solo e soltanto, quando decidiamo di aprirlo; altrimenti se ne sta buono al suo posto a vederci vivere, paziente e fedele.


Max Castellani

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