di Anna Pia D’Alesio
Guardo il presepe tutto illuminato e penso alle feste trascorse. Quest’anno non avevo voglia d’incontrarlo il Natale, sono scappata dalle luci, dai rumori, dall’abbraccio delle uscite per acquistare i regali.
Vedo, tornando a casa, il Natale in un angolo in attesa di un DPCM. Lo vedo con la mascherina, i guanti, vestito con un camice bianco: è lì, ha paura di salutarmi. Mi allontano da lui e solo allora mi fa un timido cenno di saluto. Finché ero vicina se ne stava rincantucciato, ora prova a farmi capire che il suo stare da parte è una misura che deve prendere, pur ricordandosi di tutti.
Ma cos’è poi il Natale? Da bambina era la fuga dai nonni, la minestra di ceci e pane la sera della vigilia. Da adolescente è stato il riposo dagli studi per affrontare al meglio i mesi seguenti. Da sposina è stata la cena e il pranzo sontuoso, preparato dai suoceri e dai genitori. Da mamma la ricerca dei regali per i figli, per farli sentire accolti e amati.
Oggi, Natale 2020, mi sembra sia diventato quel pezzo di legno abbandonato su una sedia al quale Pinocchio, divenuto bambino, dedica di sfuggita uno sguardo amorevole.
Guardo l’albero pieno di luci a intermittenza e sogno. Torno in quell’angolo, dove il vecchio Natale si è adeguato al clima Covid-19, ho tolto la tuta, la maschera, i guanti. Indosso un abito lungo pieno di luci: sono una fata bellissima. Ho una bacchetta che espande luce, ho delle scarpette che brillano e mi trascinano, rendendo il mio passo un vortice di effetti speciali. Sono bella, mi sento bella, mi sento indosso tutti i Natali della mia vita, tutti i Natali vissuti con la consapevolezza di poter fare, muoversi, aiutare, piangere, ridere, giocare, saltare, uscire, ubriacarsi, abbracciarsi, baciarsi….
Il Natale 2020 mi guarda e tac, con un colpo di bacchetta, diventa un bellissimo principe, pieno di luci, di suoni, pieno di vita.
Siccome è un sogno, mi rivolgo al Natale-Principe e gli dico di andarcene in giro, a distribuire gioia al mondo. Lui mi chiede con quale mezzo ed ecco che, dal cielo, arriva un tappeto volante, sfavillante di luci e pieno di pacchi, che si ferma davanti ai nostri piedi. Saliamo e inizia il nostro giro del mondo in 24 ore: il tappeto che, oltre ad essere volante, è anche parlante, ci spiega che la pausa concessa è di una giornata. In questi 1440 minuti possiamo fare di tutto, purché l’intenzione sia rendere felici gli altri.
Il tappeto ci chiede cosa vogliamo fare e, contemporaneamente, rispondiamo che la nostra priorità è cercare zone bisognose di aiuto, rispettando l’ordine alfabetico.
Il tappeto ci conduce in Afghanistan. Scendiamo. La voce del nostro veicolo ci avverte che siamo in zona di guerra. Il conflitto in atto potrebbe crearci problemi. Scorgiamo un casolare e vediamo due bimbi, nel cortile, che piangono, ci avviciniamo e tra le nostre mani si materializza un pacco, con la lettera A, lo apriamo e regaliamo luci, giochi e cibo. In fondo al pacco compaiono anche degli abiti caldi e confortevoli, i bimbi li indossano e ci ringraziano felici.
Torniamo sul nostro veicolo, che ci trasporta in un battibaleno in Burkina Faso, paese vittima di sanguinosi attentati. Anche qui incontriamo un gruppo di persone e distribuiamo tutto il contenuto del pacco, contrassegnato dalla lettera B.
Si riparte e si giunge in Colombia. Da quasi quarant’anni questo Stato è sconvolto da una sanguinosa guerra civile. Qui il nostro pacco C soddisfa le esigenze di tantissime persone: chiunque mette la mano all’interno, prende quello che fa proprio al caso suo.
Manca il pacco D, niente paura voliamo in Egitto. Nella penisola del Sinai, da alcuni anni a questa parte il governo egiziano si è spesso scontrato con gruppi di fondamentalisti islamici armati. Qui il nostro pacco E riceve applausi e lacrime di gioia.
Arriviamo nelle Filippine, Stato dove nell’ultimo anno, ci dicono, ci sono stati più di 1.500 morti. Distribuiamo il pacco F, un pacco Felice, mi dice il Natale-Principe, perché saltella e spande luce e doni di ogni tipo.
Il tempo passa inesorabile e ci precipitiamo in Iraq, dove la crisi ha portato ad una guerra tra l’opposizione e il governo. Il pacco I è ricchissimo, ma dobbiamo lanciarlo, perché non sappiamo a chi donarlo e l’involucro si divide in tanti pacchetti, che si poggiano sulle mani di chi li richiede.
Arriviamo in Libia dove, dal 2014, è in atto una seconda guerra civile tra due coalizioni. Tra scontri a fuoco, esplosioni e rivolte sono morte 2.500 persone solo nell’ultimo anno. Il mio Principe elargisce a piene mani i regali del pacco L.
Voliamo in Kashmir. Ci troviamo nel mezzo di una rivolta, ancora in pieno svolgimento, nonostante le incoraggianti iniziative di pace, iniziata nel 1989, che ha sempre rappresentato una guerra per procura tra i due colossi asiatici Pakistan e India. Con una giravolta lancio il pacco K e assistiamo alla divisione dei regali.
Finalmente in Nepal. Qui scontri a fuoco, rapimenti, attentati e estorsioni avvengono quotidianamente. Regaliamo gioia e delizia con il pacco N.
880 minuti. Voliamo verso la Palestina. Il lungo conflitto con lo Stato di Israele, dopo oltre mezzo secolo di guerre e di patti storici, di atti terroristici e di speranze di pace andate in fumo, il sogno di “due popoli due Stati” resta, purtroppo, ancora un’utopia. C’è in strada un’aria natalizia, sentiamo anche un suono di ciaramelle, che si spande nell’aria. Distribuiamo il pacco P pensando alla parola pace.
In questa ricerca di luoghi, dove portare il nostro aiuto, arriviamo con il nostro mezzo volante nella Repubblica Centrafricana. Questo Stato è dilaniato, anch’esso, da una guerra civile, i cui scontri hanno causato circa 500 vittime tra il 2019 e il 2020. Il mio Natale avvicinandosi mi chiede di regalare due pacchi, sia la Q che la R. Questo strano principe sta entrando sempre più nella parte del buon samaritano e smuove, nel mio animo, un moto di tenerezza. Al pensiero della sua trasformazione, mi si affacciano due lucciconi sugli occhi, ma devo fermare il tempo e devo andare avanti. I doni raddoppiati portano felicità e riescono a far tornare un po’ di sorrisi in un luogo, dove le aggressioni sono la parola d’ordine.
1100 minuti, arriviamo in Siria. Ancora guerra civile. Nell’ultimo anno in questa regione sono morte più di 13.500 persone. Osserviamo i pacchi: ci sono tre S. Non ci facciamo domande e prendiamo il più grande. Sopra il pacco un mazzo di rose rosse: mi viene da pensare ad una canzone degli anni sessanta che, come ritornello, suggeriva di mettere dei fiori nei cannoni. Regaliamo cibo, vestiti e torniamo verso il tappeto.
Il secondo pacco S è destinato alla Somalia, dove è in atto una violentissima guerra di potere tra i vari clan del Paese, guidati dai cosiddetti “signori della guerra”. Una spirale di violenze che, fino ad oggi, ha provocato quasi mezzo milione di morti. Lanciamo il pacco S sperando di portare sollievo a questo popolo martoriato.
Con il terzo pacco S ci dirigiamo verso il Sudan. La guerra civile in Sudan si protrae ormai da 20 anni. Nel Darfur è in corso un violentissimo conflitto fra gruppi armati locali e milizie filo-governative. Attualmente i morti vengono stimati nell’ordine di circa 10.000 persone al mese. Il pacco S ci sfugge dalle mani, tanta è la voglia di donare un po’ di felicità a questo popolo sofferente.
Allo scoccare del minuto 1330 ci ritroviamo in Uganda. Qui, da più di 20 anni, è in atto una guerra civile, che ha provocato una grave crisi economica. Il pacco U è bellissimo e non vede l’ora di regalarsi ai cittadini ugandesi. Il tappeto ci ha raccontato molti aneddoti sugli ugandesi, soprattutto inerenti al nyom, matrimonio tradizionale che dura due giorni. Qui il dono-pacco sembra avere le ali e si precipita fra le braccia dei bisognosi in attesa. Ebbene sì, sembra ci stiano aspettando.
Siamo arrivati al minuto 1393 quando atterriamo, planando dolcemente, in Ucraina. Dal 2014 la situazione in questo Stato è complicata, a causa di una rivoluzione violenta, che vede contrapposti alcuni gruppi separatisti al governo. Il freddo è pungente ma l’aria è secca. Doniamo i pacchi V e Z perché sono gli unici rimasti. S’intravedono all’interno molte delizie alimentari e Natalino, il mio principino, mi propone di prendere qualcosa. Afferriamo un salamino, mentre lo mangiamo notiamo che, al suo posto, sono comparsi due salamini: donare e portare affetto in giro per il mondo comporta una ricompensa per l’animo, ma anche il corpo ha bisogno di essere esaudito e allora afferriamo il salamino spuntato dal nulla e lo divoriamo voracemente.
Guardiamo l’ora: 1437 minuti. Il tappeto ci ha detto che, se non riusciamo a salire sul tappeto entro i 1440 minuti, rischiamo di rimanere dove siamo e allora corriamo, corriamo e… al minuto 1439 e 30 secondi siamo sul tappeto. Con uno schiocco il nostro mezzo di locomozione parte e ci riporta al punto di partenza.
Abbiamo incontrato la tristezza, la morte, l’angoscia, il terrore e ci ritroviamo ora in un paese in cui non ci sono guerre, ma un triste morbo, che vuole portarci via la gioia. Facciamo una scommessa e ci proponiamo di saper sfruttare il tempo a nostro favore: ci rivediamo fra 525.600 minuti.
***
Torna alla Silloge #RaccontiDiNATALE Ed. 2020 per leggere altre opere ed altri autori.
Forse confrontandoci con i problemi alltrui riusciamo a relativizzare i notri. Un bel messaggio, quello di guardarsi intorno e comprendere che non siamo l’omblico del mondo.
Sì Adele, siamo sempre troppo concentrati su di noi. Grazie
Quando sognare significa scoprire dentro di sé un naturale e più profondo bisogno di stare bene facendo del bene. L’ego e il C-19 sono vinti.
Il sogno dona la capacità di guardare le cose da un’altra prospettiva. Grazie Rosanna
1440 minuti di riflessioni forti,dure,capaci di smuovere l’io e a condurci a realtà che ahimè ci sono. E la nostra attuale combattiamola con tutte le nostre forze,perché nessuno ce le toglie. Coraggio. Complimenti assai all’autrice del racconto. Troppo bello ed emozionante. Un intreccio di idee toccanti. Grazie per averlo scritto.
Grazie Adelina per il tuo commento. Sei riuscita a cogliere l’emozione e le idee che vengono fuori in momenti così difficili.
Sempre profonda Anna. In un racconto è riuscita a realizzare uno spaccato di quello che accade nel resto del mondo non occidentale. Certo, anche noi con il Covid abbiamo la nostra gatta da pelare ma, rispetto a loro, la scienza ci aiuterà e ne verremo fuori, con le ossa rotte ma ne verremo fuori. L’ uomo saprà fare altrettanto in quei paesi?
Grazie Marisa. La domanda che poni è da anni senza risposte. Il mondo si accorge del negativo quando è colpito in prima persona, dovremo far tesoro di questo periodo buio
Leggere questo racconto mi ha fatto riflettere, l’immagine del Natale intimorito nell’angolo, le guerre, la fame, la povertà ma la voglia di aiutare, un inno a volere bene e volersi bene, un messaggio di pace (hai citato un brano dei Giganti), bellissimo racconto Anna, mi hai fatto commuovere. È bello emozionarsi leggendo…. Confermo, come già ti dissi a suo tempo, che sei una donna sensibile ed umana.
Grazie Paola. Le dolorose esperienze comuni ci hanno ricordato la fragilità di noi esseri umani. Si ha bisogno di andare oltre noi stessi per capire che ci sono altre realtà e continuare a raccontarle potrebbe essere un buon modo per non dimenticarle
Molto toccante. Vorrei farlo leggere a diversi miei amici.
Grazie Anna bellissimo racconto molto coinvolgente e profondo e tempo speso bene
Grazie Elena della tua condivisione e del tuo coinvolgimento. Grazie soprattutto della lettura e del tempo dedicato