“La mantide del tempo”

di Veruska Saetta

“Domani indossa il vestito più bello, attendi il buio e poi segui la musica. Lì otterrai quel che desideri”.

Il biglietto che trovai nella cassetta riportava questa frase scritta a mano, nessuna firma, solo il disegno stilizzato di un panorama. Pensai a una pubblicità di dubbio gusto e lo dimenticai, finché il giorno seguente quel messaggio tornò prepotente nella mia testa sotto forma di una voce maschile così limpida da apparirmi netta e reale, oltre che estremamente seducente. L’ebbi nella mente come un mantra, un richiamo a cui sentii di non poter sottrarmi.

Identificare il posto da raggiungere fu un problema, riconobbi subito il luogo del disegno: l’orizzonte visibile dall’altura su cui il borgo è arroccato e da dove domina mare e monti. Quel profilo era la montagna madre, imponente e silenziosa ne sentivi la presenza anche di notte, quando la sua ombra maestosa metteva addosso a chiunque tranne che a me, un senso di disagio così profondo da costringere lo sguardo a virare sul lato opposto, verso la città che scivolava lieve sulla spiaggia.

Da piccola adoravo seguire il suo spettro la notte, perché era lì che vivevo da bambina, mancavo da tanto ma quelle immagini non le avevo dimenticate.

Indossai il mio vestito preferito, nero, con il quale mi sentivo a mio agio, attesi il buio e arrivai nel posto da cui ero partita anni addietro. Mi confortò notare che il panorama era rimasto lo stesso e mi lasciai condurre dal profumo avvolgente del parco salendo sulla via principale. Man mano che gli ampi spazi si stringevano, preclusi alla vista dalle mura di cinta, mi accorsi però che qualcosa all’interno era cambiato. Il borgo appariva screpolato e stanco, spopolato nonostante la sera fosse calata soltanto da qualche ora, le imposte erano serrate come i portoni dei caseggiati medievali, solo il dedalo di vicoli tortuosi dava movimento a un posto altrimenti immobile. Trovai strano come un paese millenario sembrasse invecchiato così velocemente, ma in fondo, anch’io avevo subito lo stesso destino, pur se invisibile esternamente.

Tesi l’udito alla ricerca della musica ma nulla trapelava dagli antichi mattoni a parte il rumore di qualche goccia condensata che dai pluviali finiva sulla pavimentazione facendo compagnia ai miei passi. Ero all’oscuro della musica che dovessi cercare, non sapevo neanche perché fossi venuta ma soprattutto, ignoravo l’essenza stessa del biglietto perché in me, ogni desiderio era svanito da molto.

Continuai il cammino e superando la metà del borgo, mi venne ancora l’idea che il biglietto fosse uno stupido scherzo quando vidi una lama di luce interrompere la monotonia della strada, girai lo sguardo alla sua origine e trovai l’unico portone aperto del paese. Era un palazzo tra i più belli, di quelli che dietro gli enormi battenti di legno celano un cortile privato, mi fermai davanti all’arco in marmo che incorniciava l’ingresso e guardai dentro, dove le piante selvatiche che si arrampicavano sul pozzo centrale davano ad intendere che il luogo fosse disabitato da tempo. Fu in quella decadenza che percepii il suono solenne di un violoncello. Entrai subito in risonanza con le sue note, attraversai il patio seguendo la musica e salii le scale consunte che mi portarono fino al piano nobile del palazzo. Le follie non sarebbero tali se non venissero portate fino in fondo e solo una folle poté bussare ad una porta sconosciuta di notte e in abito da sera.

Al mio tocco sul legno la musica smise e la porta si aprì. Una lampada illuminò timida l’interno buio della dimora, percepii un acre odore di tempo, poi una voce mi invitò a varcare la soglia.

– L’aspettavo.

Udii mormorii sommessi ma non ebbi paura e neanche remore entrando e quando la porta alle mie spalle si chiuse, il violoncello riprese a suonare una delle suite di Bach.

Fu un uomo a guidarmi nella residenza attraverso stanze decorate che portavano ad altre stanze fino a condurci in quella centrale, l’unica illuminata e adornata con affreschi sul soffitto. Rimanemmo sul limite, tra il buio del vestibolo e la luce della sala dove si concentravano tutti i presenti. Presenti. Non c’era dubbio che vi fossero delle presenze, il dubbio era sulla definizione di umane, sembravano foglie caduche, pallide, ma a parte questo aspetto, poteva dirsi una normale serata di gala.

– Sono contento che abbia accettato l’invito, ha avuto coraggio e sarà ricompensata.

Sentendolo parlare mi resi conto della familiarità. La voce che per tutto il giorno aveva tormentato la mia mente era reale e apparteneva all’uomo che stava facendo gli onori di casa.

– Anche loro hanno ricevuto lo stesso biglietto?

– Loro e altri, ma molti non hanno avuto coraggio.

Rivolsi gli occhi su di lui e mi accorsi che spiccava tra gli altri non solo per il suo abbigliamento totalmente bianco, soprattutto perché era l’unico che avesse contorni definiti e un colorito sano, possedeva fascino e i suoi occhi catturarono la mia attenzione come aveva fatto la sua voce. Mi guardava eppure pareva non guardasse me ma dentro di me e scrutandomi i suoi occhi sicuri e calmi cambiarono espressione divenendo dubbiosi e irrequieti, fece un passo indietro come a cercare conferma sulla mia identità.

– Non avere il coraggio per realizzare desideri…?

– Per guardarli dritto in faccia. La maggior parte preferisce vivere nell’ombra, ecco perché li vede dai contorni sfocati e sbiaditi.

– Quindi vede anche lei ciò che vedo io… Non è la mia immaginazione.

– Sì, tra loro però non possono riconoscersi.

– E lei, come li ha riconosciuti?

– Li osservi… Sono timorosi, indolenti, rasentano l’ignavia. È facile individuarli per uno sguardo allenato come il mio.

– Parla di loro, ma in realtà si riferisci a noi, a me e loro intendo. Se sono qui anch’io, è perché in me ha visto le stesse caratteristiche.

– Vero. Voi. Ma ora che l’ho davanti… In lei percepisco qualcosa di diverso, il fatto stesso che riesca a vederli come li vedo io mi lascia perplesso… eppure vi ho scelto con cura.

– Anche la musica ha scelto con cura?

– Il violoncello è uno strumento sottovalutato. Il suo suono è lenitivo, costringe a concentrare le proprie emozioni per seguirne i registri inusuali creando una fluidità che ricongiunge il sentire interiore con l’essere esteriore.

– Conosco questa sonata e ha ragione, è appagante e lenitiva… come la realizzazione di un desiderio.

– La questione è quanto si è disposti a pagare per realizzarlo.

– E per pagare non intende denaro…

– I desideri che realizzo io hanno un prezzo diverso, sì.

– Quale?

– Quanta fretta. Anche lei ha dei sogni.

– Ne è certo?

Solo a uno sguardo superficiale poté apparire una semplice conversazione, invece dietro il velo delle parole i nostri sguardi indagarono l’uno l’essere dell’altro cercando di spingersi nel profondo della mente per conoscere chi davvero avevamo davanti. L’uomo voleva comprendere perché io vedessi ciò che solo lui credeva di poter vedere e io, volevo capire come avesse fatto a trovarmi e perché.

– Tutti vogliono qualcosa, ognuno desidera e vive soltanto per realizzare le proprie aspettative, mi dica quali sono le sue…

– Non ne ho…

– Impossibile, perché è qui allora?

Volevo dirgli che non lo sapevo, ma più esploravo la sua mente e più questa mi seduceva, percepivo che eravamo simili nell’avere un’anima impenetrabile ed era il motivo per cui ne provavo attrazione, solo che la sua era bianca e pura mentre la mia aveva colore opposto. Sentii emergere dentro di me un fremito e riconobbi il segnale: il mio desiderio sopito da tanto, si stava lentamente risvegliando e ciò voleva dire che lui era custode di qualcosa di cui avevo bisogno, dovevo solo capire cos’era prima di espormi.

– … Scopriamo le carte una alla volta, magari sentendo le storie degli altri invitati mi verrà in mente un desiderio da esprimere… Vuole raccontarmele?

– Con piacere…

Feci un passo per entrare nella sala ma fermò il mio intento stringendo una mano sul mio fianco, era lampante non volesse che gli altri si accorgessero di noi, quindi rimanemmo nel vestibolo protetti dalla semioscurità e lì mi svelò alcuni squarci di vita delle persone davanti a noi sussurrandomi le parole direttamente nell’orecchio.

I desideri di cui mi parlò erano comuni e plausibili da realizzare, eppure empaticamente sentivo la rassegnazione di queste persone che invece li vedevano come enormi montagne da scalare e non ne comprendevo il motivo, ciò che invece compresi perfettamente, fu che più lui parlava e più il suo tono si faceva caldo e sensuale e quando anche l’altra mano si posò sul mio corpo carezzandomi lasciva la schiena, ebbi piena contezza dell’attrazione che provavo ma soprattutto, che lui ricambiava con intensità ancora maggiore. Lo fermai prima che si spingesse oltre, dovevo assolutamente risalire al motivo del desiderio perché credevo di aver perduto quel potere per sempre.

– Non sono sogni inattuabili… Perché ricorrere a lei?

– È quello che le dicevo. Sono deboli, imprigionati dentro le proprie ombre e per veder realizzati i loro desideri, sono disposti a cedere ciò che di più importante possiedono.

– Cosa daranno in cambio?

Mi sorrise e si avvicinò nuovamente a me costringendomi con le spalle al muro. La formalità cadde dietro la forte attrazione che provava e che diventò quasi ingestibile, lo capii dalla sua fronte imperlata, dagli occhi, dalle movenze e dal narrarmi i suoi intendimenti anzitempo. Tutto era finalizzato solo a farmi cedere il prima possibile, mi sfiorò il collo con le labbra.

– Avanti… Dimmi cosa desideri…

– È impossibile desiderare per me.

– Cosa vuoi dire?

– Il desiderio più ambizioso è non desiderare, e ci sono riuscita da sola…

– Ho visto la tua ombra, l’ho vista chiaramente, più forte di qualunque altra, eppure qualcosa mi sfugge, tu non sei come loro, devo sapere il perché, dimmi chi sei…

– L’hai detto tu, desiderare è inseguire la luce per uscire dall’ombra.

– È così.

– Sai che la luce è lì, a un passo, ma se muovi incerto quel passo la luce arretra e l’ombra avanza, eppure quando riesci a muoverlo nel momento giusto ed afferri i tuoi desideri più grandi guardandoli dritto negli occhi è un bagliore accecante, un fuoco quasi impossibile da sopportare. La fiamma crea ombre effimere, ma se è intensa e vigorosa riesce a fissarne una perenne imprimendo una memoria indelebile del suo passaggio. Percepisci che sono diversa perché lo sono davvero, i miei desideri bruciano e hanno lasciato memoria di sé sulla mia anima, sotto forma di un’ombra perpetua.

– Io vedo l’ombra nella tua anima, invece questa in realtà è nera perché bruciata…

– Sì…

– Per arrivare a ridurla così occorre una forza ultraterrena.

– Credo sia la stessa forza che usi tu per realizzare i desideri.

– Quali erano i tuoi?

– No… Adesso tocca a te, dimmi cosa chiedi in cambio per avverare sogni.

– Il tempo. Ognuno mi cederà una parte del tempo che gli resta da vivere, non lo sanno ma d’altro canto se per loro significa dargli forma, cosa conta se lasceranno questa terra poco dopo?

Guardai nella sala e notai che rispetto a quando ero entrata, molti sembravano ancora più evanescenti.

– Hai già realizzato sogni stasera?

– Lo vedi da sola, vero?

– Stanno scomparendo…

La clessidra si stava svuotando e ben presto quelle persone sarebbero state inghiottite da un’ultima cascata di sabbia che avrebbe chiuso per sempre i loro occhi, uccise dai loro stessi desideri.

– Sai qual è l’aspetto interessante? Non cesseranno mai di essere schiavi delle loro peculiarità, nemmeno dopo aver concretizzato i propri sogni, anche da morti genereranno ombra.

– Nessuno si è tirato indietro?

– Una volta accettato l’invito non c’è possibilità di farlo, hanno solo facoltà di esprimere un desiderio e io lo realizzerò.

– Altrimenti?

– Moriranno stanotte stessa, dissolvendosi come polvere.

Compresi il motivo per cui avevo sentito così forte il richiamo della sua voce, lui aveva davvero quello di cui avevo bisogno, ed era il tempo.

– Quindi stanotte mi ucciderai?

– Io e te siamo simili, ecco perché sono attratto da te. Ti ho dato la possibilità di scegliere e tu con la tua risposta, l’hai data a me. Non posso realizzare un tuo desiderio perché non posso prendermi da te il tempo, non ne hai più vero?

– Sì. Mi sto spegnendo soffocata dalla fuliggine che mi ricopre l’anima, tu non puoi darmi nulla e io non posso dare nulla a te.

– Non esattamente, possiamo ancora prenderci qualcosa l’uno dall’altro… vieni con me…

Lo seguii in una delle camere da letto dove anche le pareti erano pregne dell’odore del tempo.

Il desiderio è effimero e impedisce di vedere quello che si nasconde dietro di esso, non è luce, è esso stesso ombra e il desiderio sessuale non fa eccezione.

Aveva sentito che ero diversa dagli altri invitati ma ignorava chi fossi davvero e badai bene a non rivelarglielo completamente. Gli lasciai condurre il gioco come una mantide, con l’inganno di donargli me stessa per poi divorarlo.

Lo portai nel mio mondo di lussuria impadronendomi della sua mente e togliendo al corpo forza e consistenza, lo feci divenire leggero e impalpabile, sollevandolo fino a raggiungere quell’attimo di eterea sospensione. Era così sicuro di sé da travisare quel che stava succedendo e quando se ne accorse mi guardò terrorizzato ma non poté muoversi, riuscì a stento a parlare.

– Cosa stai facendo?!

– Entro nella tua mente come tu sei entrato nella mia e mi prenderò tutto…

L’orgasmo lo colse in quel momento che fu l’ultimo della sua vita. Un lampo di luce accecante tra estasi e dolore seguito dal buio improvviso. Il desiderio arretrò portandosi via la leggerezza, il corpo precipitò dentro il suo stesso peso implodendo nella velocità con cui lo svuotavo del tempo che aveva carpito e infine la sua anima bianca, venne strizzata così forte da disintegrarsi. Sul letto non rimase neanche l’ombra di ciò che era stato.

Il violoncello svolse il suo dovere lasciando ricongiungere il mio sentire con il mio essere e scomparve insieme ad ogni altra presenza in quella dimora.

Abbandonai anch’io il palazzo e lasciando il borgo mi sentii gradualmente rinascere, fiorente come la bambina che andò via da lì anni addietro.

La patina esterna di nera fuliggine che mi avvolgeva l’anima la stava soffocando, avevo bisogno di tempo per liberarmene e tornare a far risplendere il mio fascino. Come lui mi nutrivo di tempo, l’unico in grado di rinnovare ma anche celare a chiunque il desiderio distruttivo che possedevo e suscitavo.

Il tempo lascia molti segni, ma non è in grado di generare ombre.

***

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La mantide del tempo – Veruska Saetta – (Concorso Letterario #Ombra) – Lettera32 il Blog
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